Non sono necessarie più di 2 ore per narrare la storia di un’invasione aliena, o meglio, sarebbero anche necessarie, ma riuscire a farlo (bene) in 20 minuti è sinonimo di competenza. Neill Blomkamp non è nuovo nel realizzare cortometraggi (District 9 e Chappie stessi sono basati su suoi corti) ma soprattutto non è affatto nuovo alla fantascienza: tutte le sue opere si muovono all’interno di questo genere potenzialmente dai mille risvolti. Dopo la non bellissima ultima esperienza proprio di Chappie (2015), apprezzato dai più ma commercialmente (che è quello che oggi veramente conta) un mezzo flop, il giovane regista SudAfricano ha deciso di ripartire dal “basso”, creando la propria casa di produzione cinematografica e producendo dei corti; pieno controllo creativo, idee e tecniche sperimentali al servizio della fantascienza. Il primo frutto di questa affascinante iniziativa è Rakka, reso disponibile gratuitamente dal 16 giugno. La Terra è stata conquistata, gli uomini sono resi schiavi e sottoposti a terribili esperimenti, e i dominatori intossicano il nostro mondo per renderlo simile al loro; solo poche sacche di resistenza riescono di rado a difendersi e a contrattaccare, mantenendo viva una flebile speranza per il genere umano. Esiste un modo per poter capovolgere tutto? Tutto molto semplice, tutto già sentito, ma tutto realizzato con criterio ed ispirazione. La voce narrante di Sigourney Weaver (seguìta dalla solita impeccabile prova recitativa) introduce lo spettatore alla realtà di questa Terra che non ci appartiene più, controllata da creature aliene dal design simil-rettiliano senza scrupoli (strizzata d’occhio ai Visitors o ai complottisti?). Fotografia torbida, quasi sbiadita, sequenze di montaggio maiuscole, tanta (forse anche un po’ troppa) slow-motion ed effetti visivi talmente ben realizzati da far invidia a moltissimi prodotti -di dubbia qualità- che popolano il grande schermo. Questa è la visione futuristica e fantascientifica gia notà del regista: una Terra sporca, arida, polverosa, dove gli uomini ancora, nonostante tutto, non riescono ad essere uniti tra di loro, ma dove si intravede sempre e comunque un barlume di speranza. Lo stile di Neill Blomkamp è totalmente identificabile in questo primo cortometraggio, uno stile che ricorda molto il primo, bellissimo District 9 (quando ancora non sentiva il peso delle major), uno stile purtroppo leggermente scemato nelle 2 successive pellicole, che in questo caso torna ad essere ancor più crudo, senza timore di far vedere sangue e brandelli di carne volanti, ma con una sua eleganza visiva di grande impatto. Rakka racchiude in 20 minuti quello che probabilmente molti altri avrebbero espresso (magari anche male) attraverso un lungometraggio; sorprende, appassiona e attraverso un finale emotivamente in crescendo, riesce abilmente a far intendere quelle che potrebbero essere le sorti della storia…ma non senza lasciare lo spettatore con una incredibile voglia di vedere ancora altro, molto altro...ancora ed ancora! Se ciò che si è visto era classificabile come "esperimento", allora non è difficile affermare che sia perfettamente riuscito. (In basso il video di "Rakka", disponibile su youtube.)
0 Commenti
In pochi avranno sentito parlare di The Other Side of the Door, produzione anglo-indiana che ha visto la luce nelle (poche) sale italiane dal 21 aprile 2016; alla regia troviamo Johannes Roberts, cineasta non nuovo agli horror ed attualmente nelle sale con 47 metri.La storia si svolge nella suggestiva e caratteristica India ed ha come protagonisti Maria e Michael. Maria (Sarah W. Callies) è scossa, frustrata, sconsolata, e se in un primo momento il suo stato d'animo potrebbe essere giustificato con la decisione del marito di stabilirsi definitivamente in India (vorrei ben vedere) poco dopo si scopre la verità: il loro figlio Oliver è morto, e in famiglia sono rimasti in tre, con la secondogenita Lucy. E' passato del tempo ma per una mamma, si sa, è quasi impossibile lasciarsi alle spalle una perdita simile, questo fino a quando la loro domestica Piki non le suggerisce un modo per parlare un'ultima volta con suo figlio, così da permetterle di superare definitivamente il lutto... come ampiamente pronosticabile, non tutto andrà come previsto. Diciamolo, non è difficile immaginare che tutto quello da non fare verrà fatto, e se così non fosse metà delle pellicole di genere non esisterebbero. The Other Side of the Door chiaramente non ha particolari pretese, ma almeno pare sforzarsi nel non voler essere l'ennesimo mediocre horrorMovie-stereotipato, e lo fa alternando convenzionali -e per certi versi inevitabili- luoghi comuni a discrete trovate. Alcune reazioni che i bambini hanno negli horror ad esempio, come il non spaventarsi di fronte a fenomeni poltergeist, rimarranno sempre un mistero, ma per fortuna il regista ha anche altro da offrire...e non solo grazie ai piccoli protagonisti, che da sempre turbano maggiormente gli spettatori in pellicole analoghe. Infatti, tra cultura hindù, riti vudù di Kingiana memoria (Pet Cemetery), indigeni che sembrano usciti direttamente da The Green Inferno, ed una fotografia crepuscolare più che apprezzabile, Johannes Roberts riesce a regalare più di qualche brivido, e talvolta anche in momenti inaspettati e non scontati. L'ambientazione Indiana e le leggende locali in questione avrebbero forse meritato un approfondimento ed un'introspezione maggiore, così come anche la caratterizzazione dei due protagonisti, essenziale ma ridotta all'osso; il che rende parzialmente The Other Side of the Door un'occasione sprecata. Ma in fondo ciò di cui stiamo parlando è un film a basso budget, che nei suoi 90 minuti in un modo o nell'altro deve riuscire a dire tutto ciò che può, cercando di non risultare confusionale o nel peggiore dei casi, risibile. Il risultato finale è una pellicola tutto sommato godibile e non esclusivamente riservata ai patiti del genere. Quello in questione è un film che riesce ad intrattenere, un horror semplice che, seppur pervaso a tratti da quella sensazione di “già visto”, riesce a rendere perlomeno interessante un soggetto senz'altro non annoverabile tra i più originali. Assolutamente nulla di indimenticabile, ma The Other Side of the Door merita la sufficienza per aver almeno provato a regalare qualcosa di nuovo; un qualcosa che alla fine si risolverà in una bella serata passata con la giusta dose di tensione. (In basso il trailer italiano del film anche in HD!) [in collaborazione col sito www.cinemalia.it ] Negli ultimi anni è sempre più tempo di sequel e prequel, e il genere horror non è mai stato da meno. Esce giovedì 27 ottobre nella sale italiane Ouija-L'origine del Male, prequel della pellicola del 2014, diretto da Mike Flanagan, un regista sicuramente non nuovo al genere horror. La pellicola ci porta nella Los Angeles del 1965, nella stessa casa vista nel primo capitolo, dove una madre vedova e le sue due figlie introducono un nuovo trucco alle loro consuete frodi spiritiche per ravvivare l'attività di famiglia. Queste, senza volerlo, attireranno nella loro abitazione un autentico spirito maligno che si impossesserà di Doris, la ragazza più piccola (non si tratta affatto di spoiler se si è visto il primo capitolo). Fin dalle prime battute si ha l'impressione (o meglio dire la speranza) che la pellicola abbia deciso di affrontare la storia, per quanto possibile, con più serietà e maturità, e l'atmosfera vintage anni 60 del film unita alla figura della protagonista madre di famiglia Alice (Elizabeth Reazer), spazzano in poco tempo il ricordo delle atmosfere tipiche da horror-teen-movie moderno che caratterizzavano il suo predecessore. La situazione famigliare e psicologica che fa da tappeto alle vicende delle tre protagoniste orfane del padre, è ben presentata attraverso i disagi della piccola Doris e le discussioni tra l'adolescente Paulina (Annalise Basso) e la madre. La pellicola non punta al terrore da sobbalzo in sala, piuttosto si limita a costruire un crescendo di tensione ben diretta, grazie anche alla trama non del tutto scontata che evita fortunatamente di scadere nel banale; nonostante questo non mancano di certo, in particolare giungendo verso il finale, i momenti di vera paura, grazie anche alla bravura degli interpreti tra cui è giusto annoverare anche Henry Thomas, nei panni di Padre Tom. Ouija-L'origine del Male, dato soprattutto l'infinito numero di pellicole horror riguardanti tematiche analoghe, non riesce in alcuni frangenti , seppur involontariamente, a non trasmettere la sensazione di “gia visto”, ma si rivela comunque un buon prodotto d'intrattenimento di gran lunga superiore al primo capitolo, che ben si ricongiunge con gli avvenimenti inerenti alla pellicola del 2014. (in basso il trailer del film, anche in HD) [In collaborazione con i siti www.nerdevil.it e www.cinemalia.it] Premessa d'obbligo: non ho lettoil fumetto di Outcast, quindi nella recensione non saranno presenti riferimenti o paragoni con questa. Outcast, è una serie televisiva horror/drammatica del 2016 tratta come già detto dall'omonimo fumetto scritto da Robert Kirkman nel 2014, adattato per la tv dallo stesso (ideatore anche di The Walking Dead...che avrebbe benissmo concludere dopo 4-5 stagioni.). Kyle Barnes è un uomo del West Virginia la cui vita sin dall'infanzia è stata segnata da manisfestazioni e possessioni demoniache; vittime di queste ultime fu la madre, quando era ancora un ragazzino, e più tardi la moglie, che mise a rischio addirittura la vita della loro unica figlia Amber. Outcast si svolge nella fittizia ed a tratti quasi spettrale cittadina di Rome, dove il protagonista, rimasto solo dopo quest'ultimo avvenimento, decide di estraniarsi dalla società, ma l'incontro fortuito con il Reverendo Anderson, che tentò di aiutarlo da piccolo, gli farà scoprire di essere direttamente coinvolto in una nuova serie di possessioni che si stanno verificando, spingendolo ad unirsi con lui per fronteggiare questa nuova apparente minaccia. Nonostante le tematiche, in questa serie di horror ce n'è ben poco, o meglio, chi si aspetta quell' horror al cardiopalma caratterizzato da colpi di scena improvvisi, potrebbe rimanere deluso. Gli autori hanno scelto un approccio molto più psicologico soffermandosi maggiormente sui tormenti interiori dei personaggi puntando, attraverso una fotografia grigia e cupa, più che altro a momenti di brivido e angoscia, non particolarmente ricchi di adrenalina. Anche grazie a questo però, risultano ben caratterizzati i personaggi e i rapporti tra loro, che riescono ad attrarre emotivamente lo spettatore, trascinandolo nel continuo malessere di questi. Il ritmo della serie potrebbe risultare a tratti lento, ma la scelta di non puntare la narrazione su uno schema ripetitivo delle puntate, e non riempirle tutte con esorcismi o possessioni che man mano avrebbero potuto infastidire, si rivela una scelta azzaccata per coinvolgere e non risultare noiosi. Note di merito per le interpretazioni di Brent Spiner (Independence Day – Star Trek) nei panni dell'enigmatico ed infido Sidney, Wrenn Schmidt (Megan, sorella del protagonista Kyle) e per le poche ma intensissime apparizioni della grande Grace Zabrinkie (attrice feticcio di David Lynch) nei panni della signora Mildred. Il finale tutt'altro che chiuso della prima stagione, ci da appuntamento all'anno prossimo. |
#angolodelTacUn angolo fazioso dove trovare recensioni di film, serie tv...ecc rigorosamente NO SPOILER! @rchiviRecensioni
Gennaio 2019
Categorie |