Nel passato più o meno recente il cinema italiano ha provato più volte ad emulare quello hollywoodiano e molto spesso con pessimi risultati; questa volta ci ha provato con il genere più in voga del momento, quello supereroistico, e il rischio di brutte figure era facilissimo. Lo chiamavano Jeeg Robot è la storia di Enzo Ceccotti, ladruncolo di Tor Bella Monaca invischiato in questioni criminali che dopo essere venuto in contatto con sostanze radioattive si addormenta tra sudore e mille tremori come lo Spider-Man di Raimi e risveglia con una forza sovrumana: insomma, un perfetto nessuno con i poteri. In altri casi magari avremmo voluto sapere di più riguardo alla sostanza, alla sua provenienza ecc... ma qui non siamo davanti ad un cinefumetto, non ci sono storyline fumettistiche trentennali da rispettare e l'originalità della storia distoglie l'attenzione da puntualizzazioni che in questo caso sarebbero totalmente inutili. Enzo Ceccotti non vive affatto a New York, e l'ambientazione di borgata, senza grattacieli sui quali arrampicarsi o saltare, se in un primo momento può spiazzare, far sorridere o risultare addirittura paradossale per certi versi, col passare dei minuti risulta uno dei punti di forza della pellicola, così originale e inaspettata. Inoltre il protagonista non è intenzionato a salvare la gente, non ha amici e famigliari e non è intenzionato a proteggere nessuno se non se stesso; è un bambinone ignorante e poco cresciuto che Claudio Santamaria riesce ad interpretare al meglio (per quanto possa sembrarlo, non è affatto un'offesa). Sono questi saldi punti di partenza che ci forniscono una buonissima e graduale caratterizzazione del personaggio e ci accompagnano man mano sbiadendo nella sua volutamente restia evoluzione. Poi c'è Alessia, la vicina di casa di Enzo, a dire il vero una vera e propria personalità con disturbi psichiatrici ma da risultare tanto tenera, dolce e dall'animo innocente quanto “suonata”. Ilenia Pastorelli nel suo primo lungometraggio riesce a rendere in maniera quanto più credibile possibile un personaggio difficile ed impegnativo come quello di Alessia. In mezzo ai suoi “up & down” umorali, i suoi traumi infantili e la sua fissazione patologica per l'anime Jeeg Robot d'Acciaio piomba proprio Enzo, forse l'unico in grado di tenerla a bada e di proteggerla, e l'unico capace di creare un legame insolito ma sincero con Alessia, a sua volta l'unica, attraverso la sua ingenuità spontaneità e gentilezza a poter scalfire la corazza di diffidenza e disprezzo verso il mondo del nostro protagonista. A completare il quadro dei protagonisti c'è “Lo Zingaro”, il villain interpretato da Luca Marinelli: non per essere ripetitivi, ma siamo di fronte ad un'altra interpretazione maiuscola di questo film. Lo Zingaro è il boss di una banda di criminali, una banda di sfigati dei quali lui è il boss sfigato che vuole fare “il grande botto”. Le sue manie di grandezza, i suoi complessi d'inferiorità e la sua invidia cosmica (un po' in stile Loki verso il “perfetto” Thor) nei confronti sia del protagonista che di chiunque sia al di sopra di lui sono resi al meglio attraverso gli sguardi invasati e nervosi che ci regala il suo interprete; magari sarebbe stato interessante approfondire il background del personaggio, ma quel che c'è da capire si capisce dalle sue parole, dai suoi tic nervosi e dai piccoli gesti maniacali (se vogliamo, una versione molto meno intelligente del Lex Luthor di Jesse Eisenberg) resi al meglio dal suo interprete. Lo chiamavano Jeeg Robot è una piacevole sorpresa per il cinema italiano e non solo; una pellicola ben scritta ed ancor meglio interpretata, una drammatica avventura dai risvolti per nulla scontati. La pellicola del buon Gabriele Mainetti è probabilmente la prima vera di genere supereroistico degna di nota del nostro paese, e tuttavia nel suo piccolo non ha nulla da invidiare alle grandi produzioni hollywodiane, come dimostrano i numerosi premi conquistati. La storia di Enzo Ceccotti è l' origin story di un nuovo eroe, ma la speranza è che il tutto non venga rovinato da inutili sequel, perchè per quanto sia grande la voglia di sapere i risvolti e il continuo di questa storia...in fondo ci basta e ci appaga non poco quello che abbiamo già visto. (in seguito, il trailer in HD del film)
1 Commento
[in collaborazione con il sito www.nerdevil.it] E’ TEMPO DI DISTRUZIONE!… no, per fortuna non stiamo parlando dell’ultimo film dei Fantastici 4, ma del vero distruttore di mondi Hollywoodiano Roland Emmerich, che torna nelle sale col sequel di uno dei suoi film più famosi: Independence Day! Dopo aver distrutto più e più volte nei suoi film il pianeta Terra, questa volta il regista tedesco, dopo 20 anni, torna su quella Terra distrutta solo in parte che riuscì a respingere un possente attacco alieno; sono passati esattamente 20 anni nel mondo reale ed altrettanti ne sono passati nella storia in questione, dove ritroviamo un mondo ucronistico che da quel lontano 1996 si è unito sotto un’unica bandiera ed ha imparato ad usare la tecnologia aliena, rendendo all’ordine del giorno viaggi sulla luna ed armi in grado di difendere il pianeta. E’ proprio da qui che parte la pellicola, con il mondo in pace e in preda ai festeggiamenti del ventennale del giorno in cui la Terra trionfò sugli invasori alieni, e con la vecchia conoscenza David Levinson (Jeff Goldblum) che viene a sapere che in Africa è custodita intatta l’unica nave aliena che riuscì ad atterrare, dalla quale partì un messaggio d’aiuto da parte degli alieni quando erano ormai vicini alla capitolazione. [FERMI TUTTI: David Levinson, uno dei principali artefici della vittoria Terrestre, che probabilmente sin dal 1996 lavora per il governo, viene a sapere dopo VENTI ANNI che in Africa c’è sempre stata una nave aliena intatta???… soprassediamo su questo.] Quel messaggio è arrivato e gli alieni stanno per sferrare un contrattacco di maggiori proporzioni del primo: questo ci permette di rivedere gran parte del vecchio cast tra cui l’ormai ex-presidente Thomas Whitmore (Bill Pullman), che ha ricominciato a fare incubi sugli invasori, e lo stravagante Dottor Okun (Brent Spiner), risvegliatosi improvvisamente dopo 20 anni di coma. [FERMI TUTTI: io ricordavo che il Dottore fosse morto in seguito ad un incontro abbastanza ravvicinato, però vabè, non ci venne mostrato nessun ecocardiogramma piatto, quindi soprassediamo al coma… ma dubito che dopo 20 anni un essere umano con i muscoli presumibilmente atrofizzati possa alzarsi da un momento all’altro dal lettino d’ospedale e riprendere le proprie attività come se non fosse passata neanche un’ora.] Pian piano, insieme al citato vecchio cast, ci vengono presentate in tipico stile Emmerich il resto delle storyline della pellicola e il resto dei protagonisti, tra cui spiccano l’astronauta/soldato Jake (Liam “fratello di Thor” Hemsworth), fidanzato con la figlia dell’ex Presidente (Maika Monroe) e Dylan (Jessie Usher), figlio del defunto Capitano Steve “Will Smith” Hiller, astronauta/soldato anche lui, in lite con Jake ma amico della ragazza. Ecco, questi sono i personaggi che meritano di essere presentati, in quanto molti altri risultano completamente inutili ai fini della storia e hanno il solo scopo di condire alcuni momenti con qualche battuta in più, ed è un peccato se si pensa che nella pellicola sono presenti nomi del calibro di Charlotte Gainsbourg e William Fichtner: la prima completamente superflua, il secondo piuttosto sprecato. Le sequenze d’azione sono inevitabilmente ben realizzate, ma mai come in questo film appaiono quasi “scopiazzate” da un film di Star Wars, fin troppo a dire il vero, con lunghe serie di battaglie aeree nelle quali da un momento all’altro si ha il sospetto che possa spuntare il Millennium Falcon. Parlando di “scopiazzature”, impossibile non citare la Sterminatrice (intravista anche nei trailer): sì avete capito proprio bene… altro non è che la versione di Emmerich della “Regina” di Cameron vista in Aliens, un alieno molto più grande, leggermente diverso e più temibile. Molte altre scene invece sono costruite col buon intento di voler ancora impressionare lo spettatore, ma immagini come la distruzione della Casa Bianca nel predecessore hanno avuto un impatto, seppur “vecchie” di 20 anni, che tutt’ora è difficile ricreare: insomma tutto molto bello e divertente, ma di certo non indimenticabile. Quello che però manca di più è il pathos nella fase cruciale della pellicola: non c’è un momento di stallo, di “crisi” di impotenza dei personaggi come ci fu 20 anni fa prima di trovare la soluzione del famoso “virus informatico”, e tutto avviene in maniera fin troppo scorrevole e naturale fino al piano finale del contrattacco terrestre. Pur regalandoci 2 ore esenti da noia, e nonostante lo sforzo fatto per elaborare interessanti trovate di sceneggiatura atte a non dirigere una copia del primo film, Independence Day: Rigenerazione non risulta altro che un dignitoso sequel di un film memorabile, che probabilmente di sequel non ne aveva bisogno, e di certo non rimarrà impresso nella memoria come il suo predecessore. Il finale aperto poi lascia intendere (incassi permettendo!) che la storia non è affatto finita qui, e lo fa introducendo un nuovissimo elemento classificabile a metà tra il “WTF?!”, il coraggioso e il pretenzioso: staremo a vedere. [in collaborazione col sito www.cinemalia.it ]
Le Ultime Cose, presentato a Venezia 73 ed in uscita nelle sale italiane il 29 settembre, è il primo film della documentarista Irene Dionisio, nato da una collaborazione Italo-Franco-Svizzera. La pellicola racconta attraverso tre differenti punti di vista, le vite di altrettanti personaggi che si intrecciano ai giorni nostri al Banco dei Pegni di Torino; una cornice abbastanza insolita ma funzionale per far uscire allo scoperto quel senso di stenti economici che attanagliano purtroppo una buona parte della popolazione italiana. Protagonisti della storia sono Stefano, giovane neo-assunto proprio al Banco dei Pegni, Sandra, giovane trans appena tornata in città per lasciarsi andare il passato e voltare pagina, e Michele, pensionato padre e nonno che si ritrova invischiato nel traffico di pegni per ripagare un debito. Stefano (Fabrizio Falco) è un ragazzo buono, genuino, che ha appena intrapreso la sua nuova carriera; contrapposto a lui c'è il suo superiore Sergio, abile doppiogiochista e freddo con la sua clientela, reso molto credibile dall'interpretazione di Roberto de Francesco. Ciò che man mano cresce in Stefano è quel senso di parziale impotenza che lo rende quasi vittima di un burn-out di sentimenti, soprattutto nelle scene in cui stringe tra le mani gioielli, ricordi, pellicce, veri e propri “pezzi di vita” di chi ogni giorno si reca da lui. Il film, senza mai spingere troppo sull'acceleratore, riesce adeguatamente ad empatizzare col pubblico, arrivando a trasmettere i disagi e le difficoltà dei protagonisti senza cadere nel retorico o nel banale. Nonostante la drammaticità della storia venga spezzata in alcuni frangenti da temi musicali stranamente inappropriati, questa comunque permane per tutta la durata del film grazie anche alla figura della trans Sandra (la bella Christina Rosamilia), resa fortunatamente in maniera non stereotipata e credibile, grazie ai suoi tormenti interiori, al rapporto conflittuale con la madre, purtroppo solo accennato e non approfondito, e all'ambiguo rapporto instaurato con Stefano. Complessivamente Le Ultime Cose risulta una buona prima prova della giovane Irene Dionisio, che senza strafare ci ragala una pellicola lineare, con protagonisti interessanti, ben curati e caratterizzati, che riesce a non appesantire la narrazione, nonostante il rischio rappresentato dalla tematica affrontata, e coinvolgere quanto basta lo spettatore. [In collaborazione con i siti www.nerdevil.it e www.cinemalia.it] Premessa d'obbligo: non ho lettoil fumetto di Outcast, quindi nella recensione non saranno presenti riferimenti o paragoni con questa. Outcast, è una serie televisiva horror/drammatica del 2016 tratta come già detto dall'omonimo fumetto scritto da Robert Kirkman nel 2014, adattato per la tv dallo stesso (ideatore anche di The Walking Dead...che avrebbe benissmo concludere dopo 4-5 stagioni.). Kyle Barnes è un uomo del West Virginia la cui vita sin dall'infanzia è stata segnata da manisfestazioni e possessioni demoniache; vittime di queste ultime fu la madre, quando era ancora un ragazzino, e più tardi la moglie, che mise a rischio addirittura la vita della loro unica figlia Amber. Outcast si svolge nella fittizia ed a tratti quasi spettrale cittadina di Rome, dove il protagonista, rimasto solo dopo quest'ultimo avvenimento, decide di estraniarsi dalla società, ma l'incontro fortuito con il Reverendo Anderson, che tentò di aiutarlo da piccolo, gli farà scoprire di essere direttamente coinvolto in una nuova serie di possessioni che si stanno verificando, spingendolo ad unirsi con lui per fronteggiare questa nuova apparente minaccia. Nonostante le tematiche, in questa serie di horror ce n'è ben poco, o meglio, chi si aspetta quell' horror al cardiopalma caratterizzato da colpi di scena improvvisi, potrebbe rimanere deluso. Gli autori hanno scelto un approccio molto più psicologico soffermandosi maggiormente sui tormenti interiori dei personaggi puntando, attraverso una fotografia grigia e cupa, più che altro a momenti di brivido e angoscia, non particolarmente ricchi di adrenalina. Anche grazie a questo però, risultano ben caratterizzati i personaggi e i rapporti tra loro, che riescono ad attrarre emotivamente lo spettatore, trascinandolo nel continuo malessere di questi. Il ritmo della serie potrebbe risultare a tratti lento, ma la scelta di non puntare la narrazione su uno schema ripetitivo delle puntate, e non riempirle tutte con esorcismi o possessioni che man mano avrebbero potuto infastidire, si rivela una scelta azzaccata per coinvolgere e non risultare noiosi. Note di merito per le interpretazioni di Brent Spiner (Independence Day – Star Trek) nei panni dell'enigmatico ed infido Sidney, Wrenn Schmidt (Megan, sorella del protagonista Kyle) e per le poche ma intensissime apparizioni della grande Grace Zabrinkie (attrice feticcio di David Lynch) nei panni della signora Mildred. Il finale tutt'altro che chiuso della prima stagione, ci da appuntamento all'anno prossimo. Una classica coppia con una figlia, soliti problemi dovuti a scelte di vita dei singoli, condivisi o meno dal partner e divagazioni che ne susseguono.
Il libro comincia così, con un trasloco da fare, solo che questo trasloco, per i problemi appena detti o per altro che non sappiamo, assume toni paranoici e la casa diventa claustrofobica. Lo stile è molto semplice, il crescere della suspense avviene in maniera graduale ma si lascia leggere in maniera molto scorrevole. Forse si può recriminare qualcosa sulla caratterizzazione dei personaggi; c'è un solo punto di vista, quello della moglie Susan, ma per gli altri rimane una descrizione molto superficiale. Anche altri personaggi, come l'affittuaria, la signora Andrea (angosciante, se si lavora molto di fantasia) e l'aiutante tuttofare Louis seguono lo stesso discorso. Qualche chicca, con particolari magari ai quali inizialmente non si da importanza, ma che in un secondo momento ritornano, risultando note molto positive. Anche per chi non "divora" libri e ha tempi di lettura abbastanza lenti, potrebbe rivelarsi un romanzo che si lascia leggere molto velocemente. Un motivo ci sarà. by Spike |
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Gennaio 2019
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