[In collaborazione con gli amici di www.nerdevil.it!] È dura tornare alla vita di tutti i giorni dopo essere stati all’apice, dopo aver esaudito un sogno, e lo è ancor di più quando si hanno 15 anni e si è combattuto assieme ad alcuni dei più grandi supereroi della Terra. Questa è la storia di Peter Parker, un liceale reclutato da Iron Man in persona per la Civil War in terra tedesca e tornato alla vita tra i banchi di scuola e le mura di casa di tutti i giorni, con relativi problemi al seguito. Riprendersi e tornare con i piedi per terra dopo l’esperienza di Berlino (ma soprattutto col tecnologico costume donatogli da Tony Stark) non è semplice, e Peter non vede l’ora che suoni la campanella di scuola per svolazzare tra i tetti. Il ragazzo vuole fare del bene, vuole ancora dimostrare a Mr. Stark di poter essere un membro degli Avengers, lo vuole davvero tanto… forse troppo, e la comparsa di un pericoloso trafficante d’armi aliene non faciliterà affatto le cose. Senza entrare troppo nei particolari è grossomodo questa la trama di Spider-Man: Homecoming, ed è chiara fin dall’inizio la differenza tra questa trasposizione cinematografica (ricordiamo, la terza negli ultimi 10 anni) e le precedenti, essendo questa immersa appieno nelle dinamiche dell’Universo Cinematografico Marvel, di cui è il 16° lungometraggio. Per la prima volta sul grande schermo si assiste alla vera vita scolastica di Peter Parker, un adolescente credibile (nonostante Tom Holland abbia 21 anni, checché se ne dica), a differenza dei soliti laureandi spacciati per tali; ci sono i classici corridoi di scuola, i laboratori, le gite, il ballo di fine anno e tanti ragazzi. C’è anche un “bullo”, il solito Flash Thompson, ma non meravigliatevi quando vedrete il Flash di Tony Revolori: non è il prepotente palestrato anni ’90 che sbatte i loser contro gli armadietti della scuola, ma un bulletto odierno, un DJ fighetto che si diverte a fare il grande con l’Audi del papino. Al passo coi tempi e non stereotipato, come non lo sono il migliore amico Ned (Jacob Batalon) e la nuova arrivata Michelle (Zendaya), comprimari del protagonista in grado di ritagliarsi il proprio spazio senza esuberi e senza scadere nella figura di macchiette. Discorso analogo anche per Liz (Laura Harrier), prima cotta di Peter, il cui rapporto con quest’ultimo non risulta affatto preponderante, anzi, va ad unirsi al quadro di quegli elementi che delineano le difficoltà di un ragazzo smanioso di fare del bene sia nelle vesti di vigilante che di ragazzo “normale”. Una delle paure derivanti dai numerosi trailer era quella dello spazio che avrebbero dedicato ad una figura di spicco come Tony Stark, ma fortunatamente il pericolo è stato scongiurato; non solo il minutaggio del miliardario/playboy/filantropo è stato ottimamente distribuito, ma il suo ruolo da mentore gli ha permesso di recuperare un po’ di simpatia dopo le vicende di Age Of Ultron e Civil War. Questa volta Zio Ben non c’è (nonostante venga indirettamente menzionato) e tocca Mr. Stark l’ingrato compito di indirizzare il ragazzo verso la retta via; non è fisicamente presente, pare trascurarlo, ma Robert Downey Jr. è bravissimo nella sua interpretazione e attraverso alcune espressioni e poche parole pronunciate col giusto tono, riesce a trasmettere allo spettatore i sentimenti che prova per Peter. È stato lui a spronare il ragazzo e adesso è lui a doverlo tenere a freno; a lui l’ingrato compito di dover usare il bastone e la carota. A fargli compagnia ritroviamo anche Happy Hogan, spassoso e fintamente burbero come non mai, interpretato come al solito da un Jon Favreauperfettamente calato nella parte. Non sarebbe un film sui supereroi senza un villain, e nonostante la Marvel ci abbia abituato a cattivi mai particolarmente convincenti (a parte rari casi), questa volta pare essere riuscita ad invertire la tendenza. Non è esagerato affermare che l’Adrian Toomes/Avvoltoio di Michael Keaton sia uno dei villain meglio riusciti dell’MCU: non gode di un background troppo approfondito, ma ciò che viene mostrato allo spettatore è quanto basta per giustificare le sue azioni. È chiara la sua collocazione storica all’interno degli eventi delle precedenti pellicole, abile la maniera per non renderlo risibile (il look dell’Avvoltoio cartaceo sarebbe stato a dir poco inappropriato), ed è risultata sensata la scelta di un cattivo mai visto sul grande schermo che nei fumetti ha però accompagnato le prime avventure dell’arrampicamuri. Non è difficile capire perchè gli Avengers o lo SHIELD non intervengano per fermarlo: Adrian Toomes non ha nulla a che fare con la distruzione o la conquista della Terra, lui si muove nell’ombra, in silenzio, facendosi notare il meno possibile ed in questo modo riesce perfettamente ad integrarsi a quel microcosmo urbano che coinvolge principalmente eroi come Spider-Man. Insomma, questo Avvoltoio non risulterà memorabile per gli avvenimenti all’interno del MCU, ma è senza dubbio perfetto per questo Spider-Man: Michael Keaton riesce ad incutere timore anche senza indossare il suo “costume” e non è cosa da poco. Forse ci sono progetti futuri in serbo per lui? Abbiamo motivo di sperarlo. Spider-Man: Homecoming è sì l’ennesimo reboot, ma non il solito reboot; non è un film sulle origini del personaggio, ma sulla sua crescita, che di certo non è terminata dopo questi 130 minuti. Più di 2 ore di film che non si fanno sentire, con dialoghi e dinamiche che non scadono nell’infantile (e neanche troppo seriosi in stile Dawson’s Creek) ed una comicità leggera, senz’altro più giustificata rispetto ad altre pellicole analoghe, vista l’ambientazione e l’età dei protagonisti. L’azione è ben distribuita, ma soprattutto chiara, non confusionaria, nonostante le evoluzioni di Spider-Man rendano in alcuni momenti la CGI ancora un po’ troppo vistosa. Non si è ancora parlato del vero protagonista della pellicola, di colui che presta il volto ad uno degli eroi più amati di sempre: Tom Holland non è Tobey Maguire, non è Andrew Garfield e probabilmente non ha mai pensato di imitare né l’uno né l’altro. L’uomo ragno ha una lunga storia editoriale, è un personaggio cresciuto negli anni e dalle numerose sfaccettature: Holland ne ha portata sullo schermo un’altra, diversa dalle precedenti. Una cosa è certa: è fisicamente perfetto per interpretare un Peter Parker al liceo, e la sua ottima interpretazione ha dato modo al pubblico di vedere per la prima volta un “vero” quindicenne, un ragazzino ancora troppo acerbo per essere in grado di saper prendere subito le giuste decisioni. Discorso non differente per la Zia May Marisa Tomei, che a 53 anni suonati non è affatto troppo giovane per il personaggio: ciò che più conta non è la sua presunta avvenenza (pantaloni fin sopra l’ombelico e occhialoni da vista non possono essere definiti “sexy”), ma la sua capacità nell’interpretare una zia molto apprensiva e premurosa con il nipote. Spider-man: Homecoming non risulterà entusiasmante come i Guardiani della Galassiao visivamente ipnotico come Doctor Strange, ma è innegabile la sua buonissima fattura e regala più di un colpo di scena inaspettato; non è perfetto, non è esente da piccole forzature di sceneggiatura e non sarà “LA MIGLIORE PELLICOLA MARVEL” (come si urla ad ogni nuovo capitolo), ma è un film che non potrà non soddisfare il pubblico, lasciandolo con la curiosità di sapere come proseguirà l’evoluzione del protagonista. Jon Watts non punta all’epicità o alla grandiosità: è riuscito a privare l’ennesima trasposizione dell’uomo ragno di quella temuta sensazione di già visto senza voler strafare, facendo le cose col giusto tono e facendole bene. Non contava solo “riportare a casa” Spider-Man, ma farlo nel migliore dei modi: missione compiuta. [In basso il trailer del film, anche in HD!]
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Dopo Man of Steel e Batman V Superman arriva sul grande schermo il terzo atto del DC Extended Universe in collaborazione con la Warner Bros, Suicide Squad, questa volta non diretto (per molti, fortunatamente!) da Zack Snyder, bensì da David Ayer. Come già detto in precedenza, continua a grandi (e frettolosi) passi il tentativo della DC di creare un suo universo cinematografico in grado di poter contrastare l'avanzata costante del Marvel Cinematic Universe, questa volta introducendo (come fatto dalla Marvel con i Guardiani della Galassia…ma dopo ben nove film!) un gruppo di anti-eroi, o per meglio dire criminali, che motivati/ricattati per bene, possano fare anche qualcosa di buono. Il film riprende la narrazione proprio dopo gli avvenimenti di Batman V Superman, con l'agente governativo dell'ARGUS Amanda Waller che, in seguito all'avvento e alla “morte” di Superman ha in mente di allestire un “Task Force X” di “cattivi”, di bad guys da usare come risorse sacrificabili in missioni ad alto rischio e (parole sue!), come difesa nel caso un altro simil-Superman, non pacifico, volesse attaccare la Terra. Di questa Task Force X, capitanata dal colonnello Rick Flag con l’ausilio di Katana, fanno parte il cecchino/sicario n°1 al mondo Deadshot, la bella/sociopatica/ex-psichiatra Harley Quinn, l'ex gangster pirocinetico El Diablo, il ladro Capitan Boomerang, il simil-coccodrillo antropomorfo Killer Croc, e l’inutile Slipknot, del quale non vale la pena spendere neanche mezza parola; per intenderci, individui che Superman farebbe fuori con un pugno dato dolcemente, una testata (ma basterebbe anche soltanto il ciuffo), un calcio dato con la gamba rotta, una scorreggia abbastanza impegnativa. Ah, però c’è anche l’Incantatrice, ma non sapendo ancora di preciso quali sono le sue potenzialità, esula dal discorso… però sappiamo che Cara Delavigne nei panni di June Moone, sa regalare espressioni da pesce lesso non indifferenti! Oltrepassata questa piccola faglia, la pellicola nella prima parte si occupa di presentare uno ad uno, in maniera ben delineata, tutti i personaggi attraverso le parole della boss Amanda Waller, tramite addirittura descrizioni coloratissime, scritte in stile fumettistico e attraverso vari flashback in cui poter ammirare, seppur per pochissimo, altre conoscenze dell’universo DC. Il tutto, accompagnato da una bellissima tracklist di canzoni messe lì forse un po’ a caso, al contrario di Guardiani della Galassia (il paragone è d’obbligo) dove avevano un preciso significato ed una certa collocazione storica, ma dopotutto molto godibili. Terminati i dovuti preamboli, tutto d’un tratto ci si trova catapultati nel vivo dell’azione, nel vivo della missione della Suicide Squad, con Harley Quinn e Deadshot in prima fila (la prima presumibilmente perché compagna di un personaggio rilevante come Joker, il secondo probabilmente perché è Will Smith ad interpretarlo), contro un villain del quale non si conoscono appieno i poteri, che sta costruendo (non si sa come e di quanto tempo abbia bisogno per farlo) un “qualcosa” per distruggere il mondo. Spero che dalle mie parole si sia capito che non siamo davanti ad uno dei migliori cinecomics realizzati fino ad oggi, forse per una sceneggiatura troppo semplice (il che, se dobbiamo dirla tutta, molte volte non è affatto un male), ma più che altro per il modo in cui viene grossolanamente portata avanti; sentire poi, tanto per fare un esempio, un criminale o per meglio dire, uno dei CATTIVI in questione, che dopo meno di 24ore di missione parla della squadra come “famiglia” , è piuttosto forzato…e assurdo. Complessivamente, se viste senza grosse pretese, le 2 ore di Suicide Squad sono senz’altro gradevoli e scorrevoli, riescono benissimo ad intrattenere (tra i primi obiettivi per pellicole del genere) e, a differenza dei due predecessori, divertono; divertono perché in fondo non siamo di fronte a criminali così cattivi come si vorrebbe far credere, perché Will Smith, sempre in forma, proprio non sa essere cattivo e non riesce a non strappare qualche risata. Ci si diverte perché Margot Robbie, oltre a essere perfetta per la parte di Harley Quinn, è esilarante e sempre sopra le righe; perché Killer Croc risulta tutto meno che ripugnante, e quelle poche volte che apre bocca riesce a far ridere anche lui, e lo stesso si potrebbe più o meno affermare per il resto del team; l’unica vera cattiva, fredda e spietata, risulta alla fine Amanda Waller, anche lei caratterizzata a pennello da Viola Davis. Manca qualcuno all’appello? Ah si : “…E JOKER??” Joker c’è! Joker NON fa parte della Suicide Squad e non fa parte della maggior parte del film, ma la sua presenza aleggia per quasi l’intera pellicola e la performance di Jared Leto è tutt’altro che negativa. Ovviamente in questo caso non si accettano paragoni con i precedenti Joker cinematografici, perché ogni grande attore che ha interpretato Joker in passato ci ha regalato una valida e differente versione del personaggio, così come sono differenti le versioni che ha avuto nel corso dei decenni un personaggio così particolare e controverso come Joker! Quello di Leto è un Joker gangster, perverso, che riesce a strappare una risata un secondo dopo averti fatto rabbrividire; un Joker anche abbastanza moderno, con tanto di tatuaggi, abiti sgargianti e auto di lusso, che attraverso il rapporto con Harley Quinn manifesta tutta la sua instabilità e malata passione. Di più non si può dire, visto che la sua presenza nella pellicola si aggira attorno ai 15 minuti, ma la voglia di vederlo con più spazio a disposizione nei prossimi film è tanta. Ah, dimenicavo… c’è anche Batman! Come già scritto in un intervento precedente, quando si è alle prese con quello che è uno degli argomenti fantascientifici più intigranti (e “pericolosi”) come il Tempo, o per essere più corretti, lo “spazio/tempo”, bisogna essere molto abili a non cadere in trappole come incoerenza, banalità, contro-sensi o anche in stereotipi del genere ed eccessiva tortuosità della storia... per meglio dire, nella più scadente o risibile stupidità. E' questo caso di Synchronicity? … fortunatamente No. Synchronicity è un film Americano del 2015 diretto da Jacob Gentry, mai arrivato nelle nostre sale ma comunque disponibile anche in italiano su I-Tunes (ed ovviamente in tutto il resto della rete). L'incipit, accompagnato da musiche provenienti direttamente dagli anni '80, è il solito: un cervellone, con l'aiuto di due colleghi/amici, è riuscito a costruire una macchina del tempo della quale non conosce ancora perfettamente l'esatto funzionamento ed è alle prese col suo finanziatore assetato di denaro (il sempreverde Michael Ironside) e con una donna sbucata all'improvviso nella sua vita. Al contrario delle non eccessive aspettative, lo svolgimento riesce a non essere banale e a prendere una piega non affatto scontata, riuscendo a giocare in maniera piuttosto astuta con le complessità dello specifico genere cinematografico col quale si cimenta. Diciamolo subito, non siamo davanti ad un capolavoro, nonostante sia nelle ambientazioni che nelle musiche la pellicola voglia strizzare l'occhio a film del calibro di Blade Runner, ma Synchronicity è un discreto prodotto, che con i suoi 100 minuti e con dialoghi non troppo pretenziosi e non banali, si lascia guardare con piacere, con la voglia crescente di andare a fondo e comprendere appieno l'intreccio della storia, che non è cosa da poco. Senza dubbio il regista avrebbe potuto rendere leggermente meno complesso questo intreccio, ma è forse proprio grazie a questa intricata tela, che è riuscito a regalare una pellicola che se dopo una prima metà sembrava potesse avere i risvolti, non proprio originalissimi, di un loop (come ad esempio per film come Triangle o Timecrimes), nasconde invece qualcosa di piacevolmente diverso, cervellotico e probabilmente anche più profondo. Anche una apparentemente banale storia d'amore, inserita in un simile contesto, può riservare degli inaspettati snodi narrativi. |
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Gennaio 2019
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