Dopo il piccolo capolavoro/ cult Il Corvo (1994), il discreto Io,Robot (2004) e dopo il non molto entusiasmante ma “coraggioso” Segnali dal Futuro (2009), si sarebbe potuta azzardare l’ipotesi di un tonfo da parte di Alex Proyas…e il buon regista non ha voluto, di fatti, deludere le aspettative. Gods of Egypt è una pellicola d’avventura/azione liberamente ispirata alla mitologia egizia, avente protagonisti Dèi del calibro di Horus, Seth, Ra, ecc… Dopo i film sopra citati, caratterizzati grossomodo da ambientazioni dark o perlomeno tendenti al “cupo”, è il passaggio del regista a tonalità coloratissime e sgargianti (fin troppo) e ad un tripudio di CGI che in alcuni frangenti rasenta il fastidioso e che va a reinterpretare visivamente gli Dèi Egizi protagonisti della storia, in maniera piuttosto fantasiosa…e quantomeno discutibile: a metà tra le armature di Iron Man e i Transformers, tanto per rendere l’idea. Tralasciando la criticatissima scelta infelice, per ovvi motivi, di far impersonare Dèi e comuni mortali Egizi da attori caucasici (tra cui un Gerard Butler versione Leonida2.0 …ma stavolta cattivo, tanto per non far confondere il pubblico!) i problemi del film, personalmente, sono altri. Penso che nessuno fin dalla visione dei primi trailer si aspettasse una pellicola profonda e riflessiva attraverso la quale poter rivivere i gloriosi fasti dell’Antico Egitto; io stesso, in un pomeriggio in cui ero abbastanza stanco, ho intrapreso la visione di Gods of Egypt con la speranza che mi potesse tirare un pò su, divertire ed anche entusiasmare come solo alcune “americanate” da 150milioni di $ o più di budget sanno fare, ma è proprio qui che il film in gran parte fallisce. Quando in 127 minuti di azione e CGI ti ritrovi ad annoiarti in vari frangenti, è un lampante sintomo che qualcosa nel film ha evidentemente non funzionato; se poi la narrazione è intervallata da dialoghi stupidi e da battutine forzate (che non fanno ridere), come soprattutto tra il protagonista Horus (Jaime Lannister, al secolo Nikolaj Coster-Waldau) e il giovane innamorato Bek (l’inadatto Brenton Thwaites) …allora la frittata è inevitabilmente fatta! C’era molto più Egitto in Stargate di Emmerich (ambientato su un altro pianeta!), di cui ho avuto nostalgia durante la visione del film, che in Gods of Egypt, nonostante i tentativi di volerlo ostentare in tutti i modi.
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Il cinema Spagnolo, nel passato più o meno recente, è stato in grado di regalarci numerose pellicole thriller/horror degne di nota; la prima, in ordine di importanza, è senza dubbio L'Uomo senza Sonno, del 2004 (che in molti conosceranno solo per la “metamorfosi” subìta da Christian Bale per interpretarla), per poi passare a REC del 2007 (meno memorabili i suoi sequel) ed altre pellicole di cui il maggior esponente è Guillermo Del Toro. Con queste premesse, nonostante la trama di The Corpse of Anna Fritz, già dal titolo e dalla lettura delle prime 2 righe di trama sia abbastanza intuibile, avevo discrete aspettative per questo “necro-movie”... aspettative sgretolatesi già una decina di minuti dopo l'inizio del film. Il film si apre con la morte dell’immaginaria star internazionale Anna Fritz (paragonabile, da come ne parlano, ad una novella Jennifer Lawrence di oggi) e si sposta poco dopo su Pau, che, nell'obitorio dell’ospedale dove lavora, osserva il suo bel corpo esanime; successivamente arrivano due suoi amici che, come prevedibile, non perdono l’occasione per convincere Pau a mostrare loro il corpo nudo della bella star da poco deceduta. Ed è proprio da qui che iniziano i problemi della pellicola, più o meno 7-8 minuti dopo l’inizio (in un film che ne dura 76… poco più di un mediometraggio, pensandoci bene); i tre ragazzi, facilmente descrivibili come “il buono, il cattivo e l’idiota”, sono protagonisti di una storia quasi completamente prevedibile, in cui, passo dopo passo, si ha come minimo il 90% di possibilità di indovinare cosa succederà nei successivi 10 minuti. Ho sperato di assistere a delle “sorprese”… invano;ho aspettato di sentire dialoghi che dessero un minimo di spessore e profondità ad una trama già tremendamente povera… invano; ho anche aspettato di scoprire che lavoro facesse Pau: medico legale? “guardiano” dell’obitorio? Boh!Ho addirittura sperato spiegassero il “perché” è il “come” di determinati avvenimenti, in particolare di uno…piuttosto importante! ma forse chiedevo troppo… Arrivato a questo punto, mi chiedo perché io abbia perso tempo a scrivere su questo film! Come già scritto in un intervento precedente, quando si è alle prese con quello che è uno degli argomenti fantascientifici più intigranti (e “pericolosi”) come il Tempo, o per essere più corretti, lo “spazio/tempo”, bisogna essere molto abili a non cadere in trappole come incoerenza, banalità, contro-sensi o anche in stereotipi del genere ed eccessiva tortuosità della storia... per meglio dire, nella più scadente o risibile stupidità. E' questo caso di Synchronicity? … fortunatamente No. Synchronicity è un film Americano del 2015 diretto da Jacob Gentry, mai arrivato nelle nostre sale ma comunque disponibile anche in italiano su I-Tunes (ed ovviamente in tutto il resto della rete). L'incipit, accompagnato da musiche provenienti direttamente dagli anni '80, è il solito: un cervellone, con l'aiuto di due colleghi/amici, è riuscito a costruire una macchina del tempo della quale non conosce ancora perfettamente l'esatto funzionamento ed è alle prese col suo finanziatore assetato di denaro (il sempreverde Michael Ironside) e con una donna sbucata all'improvviso nella sua vita. Al contrario delle non eccessive aspettative, lo svolgimento riesce a non essere banale e a prendere una piega non affatto scontata, riuscendo a giocare in maniera piuttosto astuta con le complessità dello specifico genere cinematografico col quale si cimenta. Diciamolo subito, non siamo davanti ad un capolavoro, nonostante sia nelle ambientazioni che nelle musiche la pellicola voglia strizzare l'occhio a film del calibro di Blade Runner, ma Synchronicity è un discreto prodotto, che con i suoi 100 minuti e con dialoghi non troppo pretenziosi e non banali, si lascia guardare con piacere, con la voglia crescente di andare a fondo e comprendere appieno l'intreccio della storia, che non è cosa da poco. Senza dubbio il regista avrebbe potuto rendere leggermente meno complesso questo intreccio, ma è forse proprio grazie a questa intricata tela, che è riuscito a regalare una pellicola che se dopo una prima metà sembrava potesse avere i risvolti, non proprio originalissimi, di un loop (come ad esempio per film come Triangle o Timecrimes), nasconde invece qualcosa di piacevolmente diverso, cervellotico e probabilmente anche più profondo. Anche una apparentemente banale storia d'amore, inserita in un simile contesto, può riservare degli inaspettati snodi narrativi. |
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Gennaio 2019
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