[In collaborazione con gli amici di www.nerdevil.it !] “Sono qui da sempre!” recita la tagline di Transformers – L’Ultimo Cavaliere, e già qui verrebbe da chiedersi: ma voi produttori ve le ricordate le precedenti quattro pellicole? Avete perlomeno tentato di seguire un filo “logico” dal 2007? Lo sappiamo bene che sono qui da sempre, visto che il secondo capitolo (La Vendetta del Caduto) aveva un prologo ambientato addirittura nell’antico Egitto! Comunque sia, la saga dei Transformers continua ad espandersi e a riscrivere alcuni dei più importanti eventi storici come neanche il miglior Giacobbo con Voyager saprebbe fare; tutto molto divertente ma, senza neanche essere troppo pignoli, tutto molto sconnesso se si ripensa ai riferimenti “storici” dei precedenti capitoli. Questa volta tocca alla “Dark Age” dell’Inghilterra (V secolo), e vede protagonisti nientemeno che Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda, Mago Merlino (interpretato da uno Stanley Tucci il cui personaggio interpretato nel precedente capitolo pare essere stato cestinato) e i Draghi! Si assiste ad un prologo in stile Il Gladiatore, visivamente d’impatto, ma con mooolta slow motion. Salto di 1600 anni, e veniamo a conoscenza del fatto che il buon Cade Yeager (Mark Whalberg) è tornato a fare una vita peggiore di quella che faceva prima e come se non bastasse senza figlia al seguito, poiché al college (nel film c’è spazio solo per una bella); ma visto il buon rapporto con il personaggio interpretato dal già citato Tucci in Age of Extinction, non poteva farsi “sistemare” nella sua azienda? A quanto pare le raccomandazioni non funzionano bene come da noi. Fatte le dovute premesse, qual è il plot di questo Ultimo Cavaliere? Stavolta ci troviamo di fronte ad una sceneggiatura molto più complessa ed articolata: i buoni dovranno impedire che i cattivi vengano in possesso di un oggetto che potrebbe distruggere la razza umana. Già, proprio come lo erano il Cubo, la Matrice, il “ponte spaziale”, il Seme… e ovviamente stavo scherzando. Optimus Prime è disperso nello spazio alla ricerca dei suoi “creatori” (ma non ci avevano detto che “prima dell’alba dei Tempi c’era il Cubo”??), i Transformers continuano a piovere sulla Terra come se non ci fosse un domani, e Megatron sta riorganizzando il suo esercito. La chiave di ciò che tutti stanno cercando sono Sir. Edmund Burton (Anthony Hopkins), Vivian Wembley (Laura Haddock, una Megan Fox di classe) e Cade; di contorno, un manipolo di nuovi personaggi e Transformers pressoché inutili ai fini della trama, messi lì solo per fare numero. Hopkins ha dichiarato di aver capito poco o nulla della trama, e non gli si possono dare tutti i torti, ma due cose sono innegabili: la prima è che la sua presenza regala sempre quel tocco di classe che rende qualsiasi pellicola non detestabile (del tipo: “com’è stato quel film?” “niente di che, però c’era Anthony Hopkins!”), la seconda è che pur non capendoci molto, è lampante che si sia divertito e non poco nel girare, soprattutto col fido maggiordomo robotico bipolare Cogman, palese omaggio a C3PO. Il personaggio da lui interpretato è quello tipico alla Sir. Anthony: l’elegante lord inglese che non ha bisogno di troppe presentazioni, colui che sa tutto e ne è ben consapevole, e che fornisce spiegoni; funzionale e ben distribuito durante l’intera pellicola. [Apriamo un piccolo capitolo sugli spiegoni: viene “rivelato” che i Transformers sono stati fondamentali per alcuni passaggi fondamentali della storia dell’uomo (ad esempio nella Seconda Guerra Mondiale), informazioni in parte già note, ma anche anacronistiche. Nei primi due capitoli infatti si era già detto che erano stati sempre sulla Terra, ma nascosti, e il fatto che avessero già interagito con l’uomo si sarebbe dovuto già sapere negli stessi capitoli, visto che il reparto specializzato S7 (quello capitanato da John Turturro, tanto per intenderci) monitorava da molto tempo l’attività aliena sul pianeta; ma così non è stato, quindi per esigenze di sceneggiatura si è addirittura distrutta e riscritta la mitologia creata dalla saga stessa!] Tornando ai nuovi personaggi, è la volta della bella di turno Laura Haddock, nei panni della Prof. Universitaria Vivian Wembley; ci troviamo di fronte alla tipica Professoressa in stile Bay, ossia quella strafiga che non capiterà MAI di vedere insegnare in una qualsiasi Università del pianeta e che, per di più, “è sempre single”! Nonostante tutto, non risulta fastidiosa e perlomeno non rappresenta la “bella senza cervello” come per i precedenti capitoli. Ovviamente la sua presenza è costantemente affiancata a Mark Whalberg, ma il rapporto tra i due, seppur prevedibile, riesce in fin dei conti ad essere godibile e divertente. Andando al sodo, Transformers – L’Ultimo Cavaliere comunque ha degli evidenti problemi, in primis a livello strutturale. I primi tre quarti della pellicola sono solo una lunga spiegazione e preparazione (neanche troppo movimentata) per il gran finale, quindi non biasimo chi dopo 90 minuti si fosse iniziato a spazientire: non perchè il ritmo sia troppo pacato, ma caspita, siamo in un film di Michael Bay e non si possono non sentire esplosioni per più di 15 minuti! Vai, Michael! Non trattenerti! Non sprecare troppi dialoghi ed autocitazioni dei precedenti film per convincerci della validità del plot! Nella primissima parte vengono introdotti nuovi personaggi, come la brava Isabella Moner (Izabella), ritroviamo il Capitano Lennox (Josh Duhamel, questa volta a capo della TRF) insieme al fido Epps (Tyreese Gibson) e ogni tanto si intravede anche John Turturro (per un minutaggio ignobile e per un ruolo quasi del tutto inutile). Personaggi le cui prime battute fanno presagire una loro certa importanza all’interno della storia… e invece no. Potrei parlare di altri personaggi, ma se i già citati hanno ricevuto tale trattamento, figuriamoci gli altri. Stesso discorso per gli altri Autobot, tutti semplici passanti, ad eccezione di Bumblebee e Optimus Prime. Sembrerà impossibile, ma anche il minutaggio del Capo degli Autobot è parecchio ridotto ed è anche la sua assenza che si fa sentire nei primi tre quarti di pellicola già citati; prove in vista dello spin-off su Bumblebee? Sarà anche dolce e simpatico, ma la presenza e la caratura di Optimus sono ben altro. Un altro problema è il villain: non è mai presente. Il cattivo c’è, ma non interagisce praticamente mai con i protagonisti. Inoltre dovrebbe rappresentare lo scopo finale della ricerca di Optimus Prime, ma… chi è? Cos’è? Come? Perchè?? Dovrebbe essere portatore di rivelazioni (di carisma e caratterizzazione, almeno), invece nulla. Il grande ritorno però è quello di Lord Megatron! Nuovo design da paura, solita presenza di livello, ma come si è arrivati a questo punto? In Age of Extinction era stato riportato in vita e rinominato Galvatron; solo verso la fine ci si rende conto che potrebbe essere veramente Megatron, ma adesso nessuno più si sorprende della sua esistenza. È troppo chiedere un minimo di approfondimento su ciò che è accaduto fino agli eventi di questo film? Ma nonostante il suo ritorno e il reclutamento di una folta schiera di Decepticon, anche il suo ruolo non è così rilevante come ci si sarebbe aspettati. Per giudicare un film di Michael Bay bisogna essere preparati. È fondamentale entrare in sala con la consapevolezza di ciò a cui si sta andando incontro. Guardando il film con le giuste premesse, si può affermare che anche questa volta il regista ha regalato a tutti ciò che volevano. Tutti i film della saga di Transformers (soprattutto gli ultimi due) avevano particolari difetti, e questo non è affatto da meno, ma complessivamente anche in quest’occasione Bay ha accontentato i suoi seguaci. Forse resosi conto della “pesantezza” della prima parte, negli ultimi 40 minuti il regista ha voluto esagerare, con un finale clamorosamente caciarone, di dimensioni indicibili, riuscendo probabilmente a superare tutti i capitoli precedenti. Attraverso questo finale riesce a redimersi, coinvolgendo qua e là tutti i protagonisti, con sequenze d’azione meno reiterate e meglio gestite che non risultano snervanti, con Megatron all’assalto, navicelle che volano, mondi che si distruggono, ma soprattutto con la presenza maiuscola di Optimus che, tra classiche citazioni epiche, cambi di fronte e botte micidiali, la fa da padrone; quando poi partono i celebri temi musicali nei momenti giusti, il cuore dei fan si scioglie. Inutile soffermarsi sulla potenza visiva degli effetti speciali, propedeutico ed infallibile marchio di fabbrica dei celebri robottoni. Dopo il carico di adrenalina finale non si può uscire dalla sala senza esclamare: “ma sì dai, è stato figo!”. Un giudizio che non dice nulla e conferma tutto, o almeno dimostra che i Transformers vanno ancora di moda (d’altronde il terreno è ben spianato per i sequel), e che in un modo o nell’altro lo scaltro Michael ce la fa sempre, anche se la saga ha ormai detto tutto. Probabilmente aveva già esaurito gli argomenti un paio di pellicole fa, e le goffe incongruenze “storiche” tra i vari film ne sono l’eclatante prova. In un certo senso però la vera forza di Transformers è proprio quella di sbatterti in faccia tutti i suoi difetti, e riuscire comunque ad uscirne a testa alta. Il 28 giugno 2018 uscirà il sesto capitolo: in quel periodo inizia a fare veramente caldo, torna l’estate, si è più spensierati… voi avete impegni? Io ho già i popcorn in mano! [In basso il trailer italiano del film, anche in HD!]
0 Commenti
In pochi avranno sentito parlare di The Other Side of the Door, produzione anglo-indiana che ha visto la luce nelle (poche) sale italiane dal 21 aprile 2016; alla regia troviamo Johannes Roberts, cineasta non nuovo agli horror ed attualmente nelle sale con 47 metri.La storia si svolge nella suggestiva e caratteristica India ed ha come protagonisti Maria e Michael. Maria (Sarah W. Callies) è scossa, frustrata, sconsolata, e se in un primo momento il suo stato d'animo potrebbe essere giustificato con la decisione del marito di stabilirsi definitivamente in India (vorrei ben vedere) poco dopo si scopre la verità: il loro figlio Oliver è morto, e in famiglia sono rimasti in tre, con la secondogenita Lucy. E' passato del tempo ma per una mamma, si sa, è quasi impossibile lasciarsi alle spalle una perdita simile, questo fino a quando la loro domestica Piki non le suggerisce un modo per parlare un'ultima volta con suo figlio, così da permetterle di superare definitivamente il lutto... come ampiamente pronosticabile, non tutto andrà come previsto. Diciamolo, non è difficile immaginare che tutto quello da non fare verrà fatto, e se così non fosse metà delle pellicole di genere non esisterebbero. The Other Side of the Door chiaramente non ha particolari pretese, ma almeno pare sforzarsi nel non voler essere l'ennesimo mediocre horrorMovie-stereotipato, e lo fa alternando convenzionali -e per certi versi inevitabili- luoghi comuni a discrete trovate. Alcune reazioni che i bambini hanno negli horror ad esempio, come il non spaventarsi di fronte a fenomeni poltergeist, rimarranno sempre un mistero, ma per fortuna il regista ha anche altro da offrire...e non solo grazie ai piccoli protagonisti, che da sempre turbano maggiormente gli spettatori in pellicole analoghe. Infatti, tra cultura hindù, riti vudù di Kingiana memoria (Pet Cemetery), indigeni che sembrano usciti direttamente da The Green Inferno, ed una fotografia crepuscolare più che apprezzabile, Johannes Roberts riesce a regalare più di qualche brivido, e talvolta anche in momenti inaspettati e non scontati. L'ambientazione Indiana e le leggende locali in questione avrebbero forse meritato un approfondimento ed un'introspezione maggiore, così come anche la caratterizzazione dei due protagonisti, essenziale ma ridotta all'osso; il che rende parzialmente The Other Side of the Door un'occasione sprecata. Ma in fondo ciò di cui stiamo parlando è un film a basso budget, che nei suoi 90 minuti in un modo o nell'altro deve riuscire a dire tutto ciò che può, cercando di non risultare confusionale o nel peggiore dei casi, risibile. Il risultato finale è una pellicola tutto sommato godibile e non esclusivamente riservata ai patiti del genere. Quello in questione è un film che riesce ad intrattenere, un horror semplice che, seppur pervaso a tratti da quella sensazione di “già visto”, riesce a rendere perlomeno interessante un soggetto senz'altro non annoverabile tra i più originali. Assolutamente nulla di indimenticabile, ma The Other Side of the Door merita la sufficienza per aver almeno provato a regalare qualcosa di nuovo; un qualcosa che alla fine si risolverà in una bella serata passata con la giusta dose di tensione. (In basso il trailer italiano del film anche in HD!) Ammettiamolo, tutti scarichiamo film, tutti attingiamo dal web e dalle più famose piattaforme di streaming/download per nuovi film da vedere, magari proprio quei titoli non altisonanti, sperando di fare qualche bella “scoperta”; file messi in una cartella apposita pronti per essere guardati non appena si ha tempo. Poi arriva quel giorno in cui si decide di vedere quel film in particolare, magari perchè in quel momento si ha voglia di un preciso genere cinematografico; la riproduzione parte, il film termina e nel migliore dei casi si rimane soddisfatti e quel file rimane lì, magari per riguardarlo in futuro o per consigliare la gradita scoperta a qualche amico. Qui si arriva al punto: purtroppo questo non è il caso di 400 giorni – Simulazione Spazio. Seguo con piacere le serie CW Arrow, Flash e Legends of Tomorrow, e la presenza nel cast di attori come Caity Lotz, Tom Cavanagh e Brandon Routh, unito al genere cinematografico in questione, avevano generato nel sottoscritto un qualche tipo di aspettativa; magari per faziosità, magari per simpatia, ma ciò che più conta purtroppo è solo l'amaro verdetto. 400 Days (titolo originale) racconta la storia di quattro astronauti che vengono scelti per simulare una futura missione spaziale in un lontano pianeta e testare così gli effetti psicologici che potrebbero subire nei 400 giorni di viaggio; lontani da casa e rinchiusi in una navicella, vedranno il loro stato mentale cambiare nel tempo, un giorno però, sono costretti ad uscire all'aperto... [meglio fermarsi qui] Non sono un ingegnere o nello specifico, uno psicologo preparato della NASA, ma non ci vogliono più di una manciata di minuti per capire che almeno tre quarti dell'equipaggio non sono psicologicamente adatti ad una missione del genere... dunque, perchè?? Sorvoliamo sul fatto che tale simulazione non avvenga in mancanza di gravità... [ma come? Ancora, perchè??] e sorvoliamo anche sui primi 20 minuti di noia. La pellicola mescola fantascienza, piccoli sprazzi di horror, per poi degenarare stupidamente in uno pseudo thriller fatto di scialbi inseguimenti. Il tutto prendendo nella seconda parte una piega che cozza quasi totalmente con quanto visto fino a quel momento; una piega forse prevista e probabilmente apprezzabile da qualcuno, ma certamente sviluppata nel peggiore dei modi possibili. Nuovi personaggi che compaiono e scompaiono dalla scena: “magari tornerà dopo e si capirà qualcosa di più?” mi chiedo... invece no; personaggi stranamente “ben” (è un parolone) caratterizzati, i cui sviluppi vengono bruscamente interrotti, dovuti approfondimenti che non arriveranno mai e domande su domande che non fanno in tempo neanche a stuzzicare lo spettatore, a causa di un finale frettoloso e no-sense. Se il tutto fosse stato realizzato in maniera perlomeno decente, la pellicola sarebbe potuta terminare lasciando spiazzati ma perlomeno incuriositi, invece l'unica cosa che verrebbe da dire appena partono i titoli di coda è solo: “ma che ca**o hanno combinato? Ho davvero perso così un'ora e mezza della mia vita?” La fantascienza è bella, affascinante, stimolante, e quasi ogni spunto per una sceneggiatura, [compreso anche quello di 400 days, perchè no!) possiede un minimo di potenziale che se sviluppato con un minimo di criterio può regalare tanto allo spettatore... ma la fantascienza è anche complessa, e bisogna saperla fare. (in basso, il trailer in HD della pellicola, in lingua originale!) |
#angolodelTacUn angolo fazioso dove trovare recensioni di film, serie tv...ecc rigorosamente NO SPOILER! @rchiviRecensioni
Gennaio 2019
Categorie |