Quattordicesimo film dei Marvel Studios, è finalmente arrivato nelle sale italiane Doctor Strange, lo Stregone Supremo di casa Marvel creato nel lontano 1963 questa voltanon da Stan Lee, bensì da Steve Ditko. La pellicola è la “classica” origin story, da qualcuno criticata in quanto definita “solita origin story”, ma la scelta non è casuale, piuttosto è necessaria in quanto introdurre un personaggio complesso e sconosciuto ai più come Stephen Strange richiedeva per forza di cose tale trattamento. Con questo personaggio, dopo il mondo della magia (che magia alla fin fine non era) di Thor e dopo il mondo “cosmico” dei Guardiani della Galassia, gli spettatori vengono introdotti al mondo delle arti mistiche, al mondo delle meditazione, dove è la mente a comandare, nel mondo dove non a tutti è possibile accedere. Ad interpretare il protagonista come tutti sapranno è Benedict Cumberbatch e, diciamolo subito: l'attore è perfetto nei panni del personaggio, e lo si era capito sin dai primi trailer. La storia si apre con una buona presentazione del cardiochirurgo Stephen Strange, in tutta la sua arroganza ed autocompiacimento, a ricordarci il vecchio Tony Stark. Il Dott. Strange è il numero uno nel suo campo, ma quando perderà quasi completamente l'uso delle proprie mani, dovrà fare i conti col proprio ego. La ricerca per un “rimedio” al proprio handicap lo porterà fino in Nepal, con sequenze che ricordano in tutto e per tutto il primo Batman di Nolan: un barbuto e ormai decaduto borghese alla ricerca di se stesso. Questo viaggio lo porterà al cospetto dell'Antico, potentissimo Maestro delle Arti Mistiche; il personaggio (in origine di sesso maschile) è ben interpretato da Tilda Swinton, tra l'altro abituata ad interpretare ruoli androgini e quasi asessuati (vedesi L'Arcangelo Gabriele di Constantine). Nonostante le critiche ricevute per il casting, e nonostante dopo quasi 10 anni gli spettatori dovrebbero essere abituati alle differenze che inevitabilmente ci possono essere dalla trasposizione fumettistica, l'attrice svolge egregiamente il proprio lavoro riuscendo a dare spessore al personaggio, malgrado il limitato approfondimento nella sceneggiatura. Grazie a lei abbiamo un primo assaggio delle capacità che possono donare i suoi insegnamenti, attraverso sequenze allucinanti e psichedeliche che sono assolutamente uno spettacolo per gli occhi, un viaggio nel quale immergersi e lasciarsi completamente andare. Accompagnata dalle note deliziose di Michael Giacchino, la pellicola risulta lineare e a dispetto della originalità e particolarità della storia, non presenta difficoltà di trama e affronta tutto con la giusta chiarezza; forse un po' troppa, visto che la sensazione è quella che il tutto accada quasi frettolosamente e senza i dovuti approfondimenti. Premetto: il film non presenta buchi di sceneggiatura o scorciatoie di trama, ma ciò che si può criticare è la scelta di aver affrontato la storia con la stessa “leggerezza” di come è stato fatto con un personaggio più “semplice” come Ant-Man. Per farla breve, Doctor Strange avrebbe avuto tutto il diritto di essere una delle pellicole col minutaggio maggiore di Casa Marvel: un personaggio così diverso da quanto visto finora avrebbe dovuto ricevere un trattamento altrettanto differente, e sequenze come l'addestramento e lo sviluppo delle proprie capacità avrebbero necessitato di maggior tempo e profondità. Nonostante tutto, la resa soprattutto visiva del personaggio, è degna di nota. Nei panni del villain troviamo Mads Mikkelsen nei panni di Kaecilius: l'attore oggettivamente fa tutto ciò che è nelle sue capacità, ma abbiamo assodato ormai che non è nelle corde della Marvel creare cattivi particolarmente pericolosi e minacciosi, ma per carità, il personaggio riesce a fare la sua dignitosa figura. Il pregio più grande di Kaecilius però, è quello di aver fatto da apripista ad una minaccia molto più grande, un personaggio conosciuto ai fan del fumetto che sicuramente avremo modo di riapprezzare in futuro. In conclusione, Doctor Strange è un altro fondamentale tassello del Marvel Cinematic Universe che verrà, un film strabiliante per gli occhi degli spettatori; un film carico d'azione ed esente da momenti noiosi che di certo non potrà deludere. Quello che invece potrà non soddisfare appieno è il coraggio, un coraggio che forse questa volta è mancato nel voler dar vita ad una storia completamente nuova e differente dalle precedenti; nonostante la sicurezza che i Marvel Studios hanno acquisito ormai da un bel po' di anni, hanno preferito non osare, permettendo comunque al regista Scott Derrickson di dar vita ad un prodotto ritmato e ben confezionato che ci lascia con la sensazione che avremmo potuto assistere ad un film ugualmente spettacolare, ma caratterizzato da una maggiore introspettività e riflessività, così come necessiterebbe un personaggio come Stephen Strange. Un'occasione non completamente sfruttata, in attesa di rivedere di nuovo sul grande schermo lo Stregone Supremo, che magari potrebbe ritrovarsi “in compagnia” di qualche vecchia conoscenza...! (in basso il trailer del film, anche in HD)
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[in collaborazione con il sito www.nerdevil.it] Sono ormai quasi 10 anni che i Marvel Studios sono garanzia di intrattenimento, azione e divertimento nelle sale di tutto il mondo, ma il conubio sul piccolo schermo assieme a Netflix ha portato ad un notevole e quasi inaspettato incremento sul piano della qualità al Marvel Cinematic Universe (non che prima mancasse, sia ben chiaro). A seguito delle 2 stagioni di Daredevil, la stagione di Jessica Jones ed in attesa di Iron Fist a Marzo, la Marvel/Netflix ha finalmente sfornato questi 13 episodi di Luke Cage, personaggio già conosciuto in Jessica Jones che ha momentaneamente intrapreso il suo percorso in solitaria nel quartiere nero Newyorkese di Harlem. Gia dalle prime puntate è chiaro come la produzione abbia voluto dare una propria, personalissima impronta allo show: dopo il supereroistico legal drama che è stato Daredevil, e dopo il noir investigativo e psicologico Jessica Jones, ecco la ghetto story tutta black del Capitan America di Harlem. Dopo gli avvenimenti di Jessica Jones, Luke è alla ricerca di stabilità e di tranquillità, ma non può esimersi dal contrastare la delinquenza, la corruzione e la prepotenza che serpeggiano nella “sua” Harlem, soprattutto quando ci sono di mezzo persone a lui care. E' questo l'incipit della serie che, grazie agli intelligentissimi trailer che saggiamente poco o nulla di rilevante hanno mostrato, riesce ad avere degli sviluppi per nulla scontati. Attraverso i 13 espisodi abbiamo modo di conoscere in maniera ordinata e coerente tutti i personaggi della storia: dal trafficante Cottonmouth al criminale Shades, dalla losca Black Mariah (la sempre maiuscola Alfre Woodard) alla detective Misty Knight (inaspetatta sorpresa della stagione), per proseguire con altri inattesi ed assolutamente non meno rilevanti. La prima differenza che balza subito all'occhio dello spettatore dopo le prime puntate è la mancanza di un singolo, vero e proprio villain all'interno della storia, al contrario dei magistrali Kingpin e Killgrave visti rispettivamente in Daredevil e Jessica Jones. Questa “mancanza” che per molti potrebbe essere un punto a sfavore della serie, viene abilmente gestita dagli sceneggiatori, che col proseguire delle puntate continuano a ridisegnare le gerarchie dei personaggi all'intero della storyline. Se infatti da un lato fino al giro di boa della serie continuano ad essere inseriti personaggi inaspettati, dall'altro ne escono di scena altrettanti che fino a quel momento si pensava potessero accompagnarci per l'intera stagione; il tutto in maniera coerente, attraverso colpi di scena ben orchestrati mai banali. Per quanto riguarda il protagonista, era gia chiaro nelle puntate di Jessica Jones di come il personaggio calzasse a pennello per Mike Colter, in grado di interpretare un ottimo e convincente Luke Cage. Non mancano alcune piccole differenze caratteriali con la controparte fumettistica, molto più burbera e dai modi meno gentili, ma questo poco toglie alla prestazione e alla credibilità dell'attore. L'approfondimento psicologico inoltre vien ben esplicato nel corso degli episodi grazie anche ad un background diligentemente costruito anche attraverso flashback non ingombranti e perfettamente funzionali alla narrazione (l'esatto opposto di quelli di Arrow, per intenderci), che permettono gradualmente di far luce sul passato più o meno recente di Luke e soprattutto della sua famiglia... Ben riuscito poi il rapporto instauratosi con l' “infermiera di notte” Claire Temple (interpretata sempre dalla elegante Rosario Dawson), quasi co-protagonista, divenuta ufficialmente il collante tra tutte le serie Marvel/Netflix così come lo fu Phil Coulson (Clark Greg) nei lungometraggi Marvel fino al primo Avengers; è piuttosto chiaro che sarà il suo personaggio uno degli artefici dell'incontro dei 4 Difensori, non a caso pare essere più impaziente degli spettatori, continuando a ripetere a Jessica e Luke che conosce “un buon avvocato” che potrebbe aiutarli...e non solo in ambito giuridico, si potrebbe aggiungere. Al contrario di Marvel's Agents of SHIELD, invischiata anima e corpo nelle questioni delle pellicole cinematografiche, e mantenendo la linea dei suoi predecessori, la serie conserva la propria autonomia narrativa non facendosi mancare la giusta misura di violenza mai gratuita...e di inevitabili citazioni e riferimenti all'MCU , passando per una corretta dose di ironia per nulla invadente che contribuisce a spezzare la tensione in determinati frangenti. Nonostante l'effettistica non sempre ineccepibile e make up a tratti dozzinali (vedesi la sequenze ambientate nel carcere di Seagate) Luke Cage riesce egregiamente a ritagliarsi il suo spazio all'interno dell'universo Marvel, dissuadendo lo spettatore col procedere delle puntate a paragoni con le analoghe serie. Questo, oltre a quanto già detto, è reso possibile principalmente anche grazie ad una colonna sonora unica e quanto mai azzeccata, che attraverso le musiche soul/r&b che risuonano nell'Harlem Paradise (e abilmente usate anche per accompagnare momenti salienti) riescono a far immergere totalmente lo spettatore nelle “black” streets di quartiere, teatro delle avventure dei protagonisti. (in basso il trailer della serie, anche in HD) [in collaborazione col sito www.cinemalia.it ] Negli ultimi anni è sempre più tempo di sequel e prequel, e il genere horror non è mai stato da meno. Esce giovedì 27 ottobre nella sale italiane Ouija-L'origine del Male, prequel della pellicola del 2014, diretto da Mike Flanagan, un regista sicuramente non nuovo al genere horror. La pellicola ci porta nella Los Angeles del 1965, nella stessa casa vista nel primo capitolo, dove una madre vedova e le sue due figlie introducono un nuovo trucco alle loro consuete frodi spiritiche per ravvivare l'attività di famiglia. Queste, senza volerlo, attireranno nella loro abitazione un autentico spirito maligno che si impossesserà di Doris, la ragazza più piccola (non si tratta affatto di spoiler se si è visto il primo capitolo). Fin dalle prime battute si ha l'impressione (o meglio dire la speranza) che la pellicola abbia deciso di affrontare la storia, per quanto possibile, con più serietà e maturità, e l'atmosfera vintage anni 60 del film unita alla figura della protagonista madre di famiglia Alice (Elizabeth Reazer), spazzano in poco tempo il ricordo delle atmosfere tipiche da horror-teen-movie moderno che caratterizzavano il suo predecessore. La situazione famigliare e psicologica che fa da tappeto alle vicende delle tre protagoniste orfane del padre, è ben presentata attraverso i disagi della piccola Doris e le discussioni tra l'adolescente Paulina (Annalise Basso) e la madre. La pellicola non punta al terrore da sobbalzo in sala, piuttosto si limita a costruire un crescendo di tensione ben diretta, grazie anche alla trama non del tutto scontata che evita fortunatamente di scadere nel banale; nonostante questo non mancano di certo, in particolare giungendo verso il finale, i momenti di vera paura, grazie anche alla bravura degli interpreti tra cui è giusto annoverare anche Henry Thomas, nei panni di Padre Tom. Ouija-L'origine del Male, dato soprattutto l'infinito numero di pellicole horror riguardanti tematiche analoghe, non riesce in alcuni frangenti , seppur involontariamente, a non trasmettere la sensazione di “gia visto”, ma si rivela comunque un buon prodotto d'intrattenimento di gran lunga superiore al primo capitolo, che ben si ricongiunge con gli avvenimenti inerenti alla pellicola del 2014. (in basso il trailer del film, anche in HD) Presentato in concorso al Festival di Cannes 2016, La ragazza senza nome è l'ultima fatica dei fratelli Dardenne, registi di origine belga. In uscita giovedi 27 ottobre nelle sale italiane, la pellicola narra le vicende di Jenny (Adele Henel) una giovane e stimata dottoressa ad un passo dal suo sogno di ricoprire un ruolo di rilievo in un prestigioso ospedale, che nel frattempo conduce il suo lavoro in un ambulatorio affiancata dallo stagista Julien. Una sera qualcuno suona al citofono, ma lei decide di non aprire in quanto gia passata un'ora dall'orario di chiusura dello studio; destino vuole che la polizia locale il giorno dopo le chieda i video di sorveglianza di questo, perchè proprio lì a pochi passi è stato ritrovato il corpo senza vita di una ragazza di cui non si conosce nulla, la stessa a cui lei non ha aperto la porta. Inizia così la ricerca della protagonista di identificare e dare almeno un nome alla vittima. Quello che all'inizio poteva aver la parvenza di essere un dramma psicologico, si trasforma in poco tempo in un improbabile dramma investigativo che spinge Jenny a scelte quanto mai improbabili, come la rinuncia del proprio sogno e l'invischiarsi pericolosamente in indagini che non le competono. Quella che poteva giustamente essere una curiosità spinta da un senso di rimpianto e da senso di colpa (d'altronde, al momento del misfatto lei sarebbe dovuta essere gia rilassatamente sdraiata sul divano dopo una lunga giornata di lavoro), assume man mano i contorni di una vera e propria ossessione, resa ancor più inverosimile dalla mancanza di approfondimento psicologico della protagonista: cosa ci viene detto di lei? Cosa sappiamo del suo passato? Cosa avrebbe potuto far scattare in lei questa voglia di espiazione? Di Jenny non viene detto praticamente nulla, la sua vita ci viene presentata come solitaria, senza famiglia e senza amici, se non per lo stagista Julienne... forse un po troppo poco. Tra la totale assenza di musiche, e ambientato tra le lunghe giornate di una grigia Liegi, La ragazza senza nome accompagna lo spettatore per quasi 2 ore (113 minuti) con un trama fin troppo lineare senza particolari guizzi e priva di tensione. Poco ha potuto fare la seppur brava Adele Henel con una sceneggiatura che lascia ben poche emozioni; un'occasione persa dai fratelli Dardenne per realizzare e mettere in scena quello che sarebbe potuto essere un drammatico ma affascinante conflitto psicologico. (In basso il trailer in HD del film) |
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Gennaio 2019
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