Per carità, Diana Prince è tutt'altro che normale, lei si che ha le palle, oltre ad essere una bella stangona di donna, ma di questo ne parleremo dopo. “Capolavoro” - “Il miglior cinecomic dell'anno” - “La rinascita del genere supereroistico”; queste alcune delle esclamazioni più eclatanti che hanno accompagnato l'uscita della pellicola, ma... NO. Oggettivamente, onestamente e serenamente...no. Si sa, tutto è relativo, e magari chi si è lasciato andare in giudizi tanto esaltati aveva ancora impressi nella mente i tre precedenti capitoli del DC Extendend Universe, ovvero Man of Steel, Batman V Superman e lo scempio conosciuto col nome di Suicide Squad; ebbene sì, se paragonato a questi, Wonder Woman di Patty Jenkins può effettivamente essere classificato come un film eccelso. Ma come ovvio che sia, anche lo standalone dedicato alla principessa delle Amazzoni di Themiscyra deve confrontarsi con l'intero panorama dei cinecomic, ed è qui che il giudizio della pellicola viene giustamente ridimensionato. Wonder Woman è un buon cinecomic? No. A dirla tutta Wonder Woman è un buonissimo cinecomic! ...ma comunque inferiore a pellicole di genere come ad esempio I Guardiani della Galassia (sia il primo che il secondo). Questo quarto prodotto DC/WarnerBros riesce a far tirare un momentaneo sospiro di sollievo all'intero DCEU (in attesa dell'ennesima “incognita” Justice League) attraverso una storia semplice, ben scritta e senza chissà quali pretese: come già detto, una normale storia di origini ben girata. Era tanto difficile? Non siete tutti Nolan alla DC, fatevene una ragione. Le vicende quasi magiche dell'Isola Themyscira vanno ad incrociarsi con quelle della Prima Grande Guerra del nostro secolo e Diana si troverà moralmente costretta ad accompagnare il bel Steve Trevor (Chris Pine) e compagni a Londra, pronta ad affrontare quel conflitto frutto delle macchinazioni (secondo lei) di Ares, Dio della Guerra e nemico giurato delle Amazzoni. Diana non ha mai visto un uomo, non ha mai lasciato la sua isola, non sa come funziona il mondo, e la sua giustificata ingenuità è ben trasposta senza farsi mancare la giusta dose di leggerezza; ci si diverte il giusto, senza risultare inappropriati. L'evoluzione della bella Amazzone si percepisce chiaramente, così come è evidente il passaggio da impavida guerriera a eroina. Non sarebbe Wonder Woman se non le desse di santa ragione...e infatti le da. Le coreografie dei combattimenti sono curate, ben curate, e il risultato sono scene d'azione visivamente d'impatto e chiare... chiara come lo è la CGI in più di qualche passaggio. Strano e per certi versi sconvolgente trovare in produzioni così altisonanti del 2017 palesi e vistosi momenti, attimi “finti” e quasi innaturali, frutto di totale computer grafica. Ma chiudiamo un occhio anche perchè, come già detto, il risultato finale è più che soddisfacente, merito soprattutto di una Gal Gadot ormai perfettamente calata nella parte, nonostante i suoi lineamenti fin troppo delicati per una guerriera Amazzone...ma va bene così. E poi c'è il cattivone di turno: Ares c'è ma non si vede, o meglio c'è ma non sappiamo chi sia, sotto quali vesti si nasconda. La sua presenza aleggia durante la pellicola, e quando finalmente si manifesta lo fa con uno charme e con dialoghi degni più che altro di un novello ed elegante Lucifero (ma sì, più o meno il corrispettivo di Ares nella mitologia Greca). Il suo messaggio è chiaro: non è lui il principale artefice dei mali dell'uomo, ma l'uomo stesso, Lui si limita solo alcuni piccoli “suggerimenti”. D'altronde come già anticipato dall'indimenticato Joker di Heath Ledger, “la follia dell'uomo è come il caos...basta solo una piccola spinta!” Nulla di trascendentale, è bene ribadirlo (come ha già più volte ricordato addirittura James Cameron), Wonder Woman è un normalissimo è buonissimo cinecomic ben scritto e diretto; esattamente quella ventata di sana normalità senza eccessive pretese che serviva all'universo cinematografico della DC per riacquistare credibilità. Ricordate ancora,vertici della Warner/DC: non siete tutti Nolan. (in basso il trailer del film, anche in HD!)
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“Non ho iniziato io questa guerra… ma la finirò.” Ebbene sì, per quanto il leader delle scimmie Cesare si sia sforzato di scongiurare un conflitto, il corso degli eventi ha portato ad un epilogo che era ormai diventato inevitabile. Sono passati 2 anni dagli avvenimenti di Dawn of the Planet of the Apes e 15 dalla diffusione di quello che è ormai conosciuto come il “virus delle scimmie”; gli schieramenti erano già pronti, ma ciò che non era noto era quale sarebbe stato il casus belli per questo scontro totale. Matt Reeves torna di nuovo dietro la macchina da presa e riprende in mano la storia di questo nuovo mondo post-apocalittico (dopo il primo capitolo diretto da Rupert Wyatt) presentando una pellicola bellica a 360°; il regista mostra come la guerra non sia fatta solo di esplosioni e bombardamenti (chissà come avrebbe diretto Michael Bay una pellicola del genere…), ma di faide interne, contraddizioni e conflitti psicologici. Fin dalle prime battute risulta difficilissimo non stare dalla parte delle scimmie, quando la fazione opposta è rappresentata dal lato umano più basso, vile e guerrafondaio, ma sono veramente tutti corretti i comportamenti del loro capo? Koba è morto, ma la sua presenza aleggia costantemente durante la pellicola come un fantasma del passato, ponendo Cesare di fronte ad incubi, tormenti ed un terribile dilemma: “…e se stessi diventando proprio come lui?” Il leader delle scimmie, interpretato ancora una volta magistralmente da Andy Serkis, affronterà un lungo viaggio animato dalla vendetta per (ri)scoprire se stesso, tra lande ghiacciate e zone di guerra, ma fortunatamente non sarà da solo. I fedelissimi Maurice, Rocket e Luca infatti non lo abbandoneranno, e i quattro faranno inoltre la conoscenza di due interessanti personaggi: il simpatico “scimmia cattiva” – un loro simile che durante la vita in gabbia è stato sempre apostrofato così – e una piccola umana incapace di parlare trovata in un villaggio abbandonato, rinominata da loro Nova (probabilmente per i fan della vecchia pentalogia questo terzo capitolo risulterà quello con più riferimenti e “tributi” alle pellicole del passato). Dall’altra parte della barricata vi è invece “Il Colonnello” Woody Harrelson, cattivo annunciato che già dai primi trailer strizzava l’occhio al Marlon Brando di Apocalypse Now; spietato, dispotico, con idee e convinzioni solo superficialmente motivate che non perdono tempo prima di degenerare in pura follia. Il Colonnello McCullough non lascia scelta allo spettatore: impossibile stare dalla sua parte ed empatizzare con lui, a conferma dell’intenzione del franchise di identificare il genere umano, fatte rarissime eccezioni, come unica causa dei propri mali. Ciò che rappresenta (senza andare troppo nello specifico per evitare spoiler) è l’efferatezza che ha sempre contraddistinto l’uomo in tutti i conflitti della sua storia, con crudi rimandi alle grandi guerre del secolo passato: insomma, è la Storia che inesorabilmente e tristemente si ripete. In War for the Planet of the Apes (odio totalmente le traduzioni italiane adottate per questa trilogia!) nulla è lasciato al caso, a partire dai nuovi personaggi introdotti: Colonnello, scimmia cattiva e Nova; ognuno di loro viene sufficientemente approfondito, ognuno avrà un suo preciso scopo ai fini della storia e qualcuno sarà anche in grado di farci sorridere, ma senza stravolgere l’equilibrio di una pellicola di chiara impronta seria e riflessiva. La costruzione di molti rapporti fa di necessità virtù la vera e propria incapacità di dialogare di molti interpreti, soffermandosi su primi piani, mimiche e gesti che rendono le parole superflue. Ne è un perfetto esempio il legame tra l’orangotango Maurice (presente sin dal primo capitolo) e la piccola Nova, talmente chiaro e sincero da risultare efficace anche senza dialoghi. Altre gradite sorprese arrivano dal lato tecnico, con un fotografia grigia in perfetta sintonia col tono della pellicola e con location umide e innevate, ma soprattutto una colonna sonora che alterna il “nuovo” a musiche che hanno come palese ispirazione le pellicole della saga originale; come già detto, è forte in quest’ultimo capitolo l’influenza delle pellicole analoghe degli anni ’60 e ’70. L’ultimo (?) atto di questa coinvolgente trilogia non è perfetto, ma ci si avvicina; è giusto evidenziare la “fortunata” sincronizzazione di alcuni eventi chiave nella sceneggiatura, ma è bene passarci sopra a fronte di altrettante intelligenti trovate, ma soprattutto al cospetto di una Regia (con la R maiuscola) in grado di gestire ottimamente un dramma bellico di 142 minuti carico di tensione, emozionante e struggente. War for the Planet of the Apes è la degna conclusione di una trilogia già molto apprezzata oggi, che certamente continuerà ad essere amata dalle prossime generazioni; senza dubbio e senza azzardo uno dei migliori e più maturi blockbuster della stagione, oltre a rappresentare la consacrazione come “motion capture-man” (semmai ce ne fosse ancora bisogno) e non solo, di Andy Serkis. Il suo Cesare ci ha intenerito, esaltato, commosso, entusiasmato, risultando uno dei personaggi più coinvolgenti e memorabili degli ultimi anni… impossibile fare di meglio. Allora diciamolo senza timore: DATE UN OSCAR A QUESTA SCIMMIA! (In basso, il trailer in HD della pellicola!) |
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Gennaio 2019
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