[in collaborazione con il sito www.nerdevil.it] Prove di science-fiction per Denis Villeneuve che, in vista di ultimare il sequel di Blade Runner, si diletta per la prima volta nel cinema di genere affrontando un tema fin troppe volte sfruttato, visto e riciclato, tratto da un racconto di Ted Chiang: l’arrivo degli alieni sulla Terra. Nonostante ciò, il risultato è stato di gran lunga migliore del previsto. Dodici navette extraterrestri sono atterrate in diverse località mondiali: non è chiaro il motivo per cui siano arrivate qui, come non lo è quello del loro posizionamento geografico. Per avviare il primo contatto con i visitatori, nel sito del Montana vengono convocati il Colonnello Weber (Forest Whitaker) la linguista Louise Banks (Amy Adams) e il fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner), come ovvio che sia i migliori nei loro rispettivi campi. Come si può facilmente osservare, il plot in questione non è dei più complessi, ma è il modo in cui il regista riesce ad approcciare e a portare avanti la storia a rendere Arrival un film di fantascienza diverso da tutti i suoi “simili”. Protagonista della storia è Louise, come già detto linguista e docente universitaria, malinconica e tormentata da episodi accaduti nella sua vita, magnificamente caratterizzata attraverso espedienti non verbali; basta guardarla mentre osserva quasi disinteressata i notiziari durante l’arrivo delle navicelle, o ascoltare il suo respiro carico di tensione dentro la tuta protettiva (durante il primo contatto) per comprendere i suoi stati d’animo, per renderci conto della passione che mette nel proprio lavoro e per immergerci nelle speranze che ripone dall’incontro con i visitatori. E’ proprio quest’ultimo uno dei messaggi della pellicola: la speranza. Speranza che probabilmente si auspica anche Denis Villeneuve, che, almeno nell’evenienza in questione, tutte le nazioni del mondo si ritrovino a collaborare insieme, fianco a fianco; speranza che gli alieni non siano tutti come quelli di Independence Day o di Mars Attack, ma che civilmente e, ahinoi, contrariamente all’animo dell’umano medio, si presentino qui per dialogare, conoscere, comunicare. E’ la comunicazione la prima “arma” di cui dovrebbero usufruire due specie senzienti in contatto per la prima volta per ottenere il bene comune, non il fuoco, non le minacce. Gli sforzi, da entrambe le fazioni, dovrebbero essere impiegati nel capire come comunicare, non come colpire e mettere K.O. lo straniero, e tale speranza viene egregiamente messa in luce da Amy Adams, ostinata e resiliente anche quando tutto sembra aver preso una brutta piega. Tra le caratteristiche più lodevoli che emergono da Arrival c’è senza dubbio il montaggio: il rischio di spoiler in questo particolare caso è molto alto, quindi mi limiterò a dire che esso rappresenta gran parte, se non addirittura la chiave di lettura, dell’intera pellicola. Sebbene “l’attrazione” principale (perlomeno per chi si basa solo su titolo e locandina) possano sembrare gli alieni, con le loro astronavi perfettamente ovali e picee, ciò che rimane di loro dopo la visione del film è ben poco. Nonostante la loro rappresentazione non proprio gradevole alla vista, non risultano spaventosi, non incutono timore, ma ciò che funziona è proprio questo: sono volutamente così, sono semplicemente il tramite, l’espediente per altre tematiche, messaggi e sensazioni più profonde e rilevanti che lasciano qualcosa nello spettatore dopo i 116 minuti passati in sala. Ciò che incute più timore è forse la paura della popolazione, la paura dell’uomo di fronte ad un qualcosa di potenzialmente ostile, il terrore che porta come al solito capi di stato e intelligence pronti sul piede di guerra al minimo segnale di pericolo. Il tutto è accompagnato da effetti sonori che lasciano il segno e da suoni gravi e quasi minacciosi attraverso i quali il regista pare voglia inizialmente spaventare lo spettatore, facendolo immedesimare nel clima di perplessità e tensione che si respira nella prima parte della pellicola. E’ difficile poter parlare di tutto ciò che veramente ci sarebbe da dire di un film come Arrival, soprattutto dopo una sola visione, ma una cosa è certa: siamo di fronte ad un film “diverso”, nel senso migliore del termine, un film che, appunto, merita di essere visto più di una volta, non perché non lo si sia capito, ma per poterlo apprezzare ancor di più. Non sarà di certo rivoluzionario, ma specialmente nella seconda parte risulta essere nettamente più di un “film sugli alieni”, è un dramma fantascientifico, una pellicola che, sfruttando un incipit tanto ridondante, riesce a prendere una direzione insolita ed inaspettata, regalando diversi spunti di riflessione allo spettatore. Se poi qualcuno dovesse entrare in sala aspettandosi l’ennesimo “giocattolone” alla Independence Day, stracolmo di esplosioni ed effetti speciali… beh, purtroppo (o per fortuna) si accorgerebbe di essersi fatto un’idea completamente sbagliata. (in basso il trailer del film, anche in HD!)
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Gennaio 2019
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