[In collaborazione con gli amici di www.nerdevil.it !] Evoluzione e progressi scientifici mostrati con Space Oddity di David Bowie in sottofondo: ci può essere qualcosa di meglio per dare il via ad un film di fantascienza? Si parte dalle prime missioni nello spazio per proseguire con l’incontro con tante, diverse specie aliene, un inizio leggero, per certi versi divertente ed affascinante; peccato che a fine proiezione si realizzi che è stata concretamente una delle pochissime cose veramente buone di Valerian e la città dei mille pianeti. Ma facciamo un passo indietro: era il lontano 1967 quando Pierre Christin e il disegnatore Jean-Claude Mézières diedero vita a Valerian, serie a fumetti francese pubblicata fino al 2010. Si dice che questa abbia ispirato addirittura George Lucas per la creazione di Star Wars e oggi, dopo ben 50 anni, trova finalmente la sua trasposizione cinematografica: Luc Besson non avrà aspettato forse un po’ troppo? È proprio qui che sorge il primo problema: Valerian risulta ormai anacronistico, si ritrova vittima di un paradosso per il quale arriva sul grande schermo molto tempo dopo tutto ciò che ha probabilmente ispirato: nel 1967 avrà portato una ventata di freschezza, ma ad oggi è tutto già visto. La storia segue le avventure di Valerian e Laureline, agenti speciali del governo col compito di mantenere l’ordine nell’universo, in missione nella città spaziale di Alpha, in continua espansione e con 17 milioni di abitanti provenienti da tutti gli angoli dell’universo. I nostri eroi devono recuperare qualcosa, qualcosa che serve a qualcuno, qualcosa proveniente da un altro pianeta, ma questo pianeta è stato distrutto: perché è stato distrutto? Da chi? Era disabitato? Era abitato? Insomma, una trama da space opera a tutto tondo. Il ritmo della narrazione è incalzante, frenetico, peccato rimanga tale per l’intera durata della pellicola, finendo per risultare, piatto, senza alti e bassi. La mano di Luc Besson c’è, si vede, ma questa volta il regista francese ha voluto esagerare, finendo per non riuscire a gestire l’armonia di una storia che già nella sua prima metà finisce per risultare statica, nonostante le intenzioni opposte. Dane DeHaan e Cara Delevingne sono decisamente troppo giovani e “bambineschi” per interpretare i rispettivi ruoli, ma ci si passa tranquillamente sopra vista l’alchimia tra i due attori, che nonostante una scrittura approssimativa dei loro personaggi riescono a dare un minimo di personalità a questi. Lui ci prova con lei, a lei interessa lui, ma lui ha una lista di “vittime” che neanche Barney Stinson, quindi lei se la tira e lo respinge, ma lui non si arrende. La modella inglese riesce ad essere provocante al minimo sguardo (nonostante qualche espressione imbarazzante qua e là), lui la faccia da stronzetto ce l’ha, e ciò che ne esce fuori è un rapporto malizioso, ma sincero e divertente; non si può dire che i due abbiano fatto un brutto lavoro. Discorso diverso per Clive Owen, con un personaggio che va di pari passo col piattume generale della pellicola, troppo poco approfondito e caratterizzato per il rilevante ruolo che ricopre all’interno del film. C’è anche Ethan Hawke: sì, purtroppo c’è anche l’ottimo Ethan, in un cameo interpretato con chiara svogliatezza dove l’attore risulta fastidioso e fuori ruolo. Non avrei mai immaginato di dirlo, ma… in questo caso, molto meglio il lavoro fatto da Rihanna (già, la cantante, e non è malaccio). Ovviamente non poteva mancare un villain. Il cattivo c’è ma non c’è, non si vede, dovrebbe essere una rivelazione, ma lo si capisce alla prima battuta chi è: una sorpresa non riuscita. Troppo scontato nel 2017 dire che un film è visivamente bellissimo (soprattutto con 200 milioni di budget); coloratissimo, sfavillante, bella la CGI e belli i mascheroni in stile Star Wars con i quali sono state realizzate le razze aliene, ma tutto questo bel vedere in Valerian va a cozzare con uno svolgimento della narrazione semplicemente sbagliato. Succede tutto senza pause, i protagonisti proseguono con la missione quasi senza intoppi, con discrasie temporali fino a perdere completamente la cognizione del tempo: in quante ore si svolge la storia? 24? 36? 48? In quest’ultimo caso, nel futuro non si ha bisogno di dormire? Forse è stata messa troppa carne al fuoco, gestita tra l’altro in maniera frettolosa, per un film che sarebbe dovuto durare molto di più, o magari di meno, sfoltendo qualcosa qua e là. Finalmente ad un certo punto si riesce a prendere respiro, almeno per 15 minuti, giusto il tempo necessario per il temuto spiegone che fa luce su un bel po’ di cose che la narrazione non ci ha aiutato a capire. Triste ma vero, ci voleva lo spiegone per apportare una variazione nel mood costante e perpetuo del film. Dispiace dirlo, ma la pellicola di Besson nonostante gli sforzi, fallisce; è ottimista nel voler rappresentare un futuro dove l’uomo possa avere la leadership pacifica tra le infinite razze aliene, oculato nell’inserire la giusta dose di ironia, bello da vedere, ma non basta. Valerian e la città dei mille pianeti si potrebbe definire un enorme fumettone spaziale, che non sarebbe neanche così male se non finisse per risultare lento, pesante, quasi noioso. Il risultato sono 130 minuti che si fanno sentire, in un ibrido tra Avatar e Star Wars che non regala nulla di nuovo; forse i tempi non erano maturi per una trasposizione del celebre fumetto francese, o magari i tempi maturi sono andati perduti, fatto sta che il flop mondiale di Valerian difficilmente consentirà ai due agenti speciali di continuare le proprie avventure… peccato. [In basso il trailer del film, anche in HD!]
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Non sono mai state particolarmente fortunate le opere di Stephen King una volte trasposte su pellicola; potrebbe sembrare un'eresia, pensando a capolavori come Shining (che tra l'altro a King stesso non piacque) o a cult come Carrie, Misery non deve morire, La Zona Morta o la miniserie televisiva di IT, ma basti pensare che esistono più di 40 adattamenti tra film, film per tv e miniserie...e se la maggior parte non sono poi così “popolari”, un motivo probabilmente ci sarà. Il 2016 è andato bene, con la bellissima, coinvolgente e romantica trasposizione di 22.11.63, serie TV autoconclusiva di 8 episodi con l'ottimo James Franco protagonista; nel 2017 è invece il turno de La Torre Nera, The Mist (questa volta in formato serie Tv), IT... sarà certamente un anno di grandi soddisfazioni per il Maestro dell'Horror... e invece no. Si è partiti malissimo con La Torre Nera, si hanno grandissime aspettative per il ritorno di Pennywise, e The Mist... The Mist, ahinoi, non è niente di che, ma perlomeno riesce a strappare una sufficienza stiracchiata (si, sono di manica larga) per quell'inaspettata attesa che, nonostante tutto, riesce a creare per una -fino ad ora solo ipotetica- seconda stagione. A dirla tutta The Mist fa tutto quello che una serie dovrebbe fare, ma lo fa male: personaggi (anche piuttosto variegati) approfonditi, ma in maniera troooppo lenta e, come se non bastasse, nessuno particolarmente simpatico; sottotrame interessanti (più o meno tutte), ma spesso troppo reiterate; crea momenti di suspance e di (pseudo) horror, ma sono troooppo rari. Se non fosse per il fatto che la serie è “tratta da un racconto di Stephen King” (e perchè ad ogni episodio speravo spuntasse qualche creatura disgustosa come nel film del 2007), ho il vago presentimento che non sarei andato oltre il 4°-5° episodio. A quanto pare gli sceneggiatori hanno sviluppato la sceneggiatura puntata per puntata, senza sapere quale sarebbe stato il numero degli episodi, o magari con una soffiata di qualche burlone si erano illusi che questa prima stagione sarebbe durata dai 20 ai 25 episodi. Ma ad un tratto arriva un telegramma ufficiale dalla casa di produzione che, rendendosi conto dei livelli di noia schizzati al livello “Walking Dead – Stagioni 4&5”, decide che gli episodi saranno solamente 10: “Miei cari sceneggiatori siamo arrivati all'episodio 7, dunque ne rimangono solo 3: FATE DEL VOSTRO MEGLIO!” Sono quasi sicuro che sia andata così. La quasi totalità di ciò che sarebbe potuto accadere con piccoli e sapienti guizzi durante i 10 episodi (evitando di annacquare il brodo) si verifica negli ultimi 3, ed una delle abilità è quella, malgrado tutto, di non farlo risultare particolarmente confusionario. Il paragone con The Walking Dead emerge ancora una volta se si pensa a quello che dovrebbe essere il fattore-paura della serie: gli zombie che accompagnano Rick e soci arrivano col passare delle stagioni a non fare più paura, trasformando lo show in una telenovela drammatica dove i non morti sono soltanto uno sfondo, un elemento che di tanto in tanto torna a dar “fastidio”...fatto subito fuori con un colpo alla testa. In The Mist (e siamo solo alla prima stagione) la nebbia riesce già dopo pochi episodi a non far più paura; non è più quell'entità letale che nella pellicola del 2007 non dava scampo; è un qualcosa dalla quale se ne esce indenni o esanimi senza parametri ben precisi. Questa nebbia avrebbe bisogno di “regole”, perlomeno di iniziare a far capire (se mai ce ne sia uno) il suo scopo, i criteri e le modalità d'azione che in questa prima stagione sono state apparentemente casuali, a metà tra psicologia e fantascienza solo accennata. Insomma, è chiaro che The Mist non sarà di certo ricordata tra le migliori serie TV del 2017, ma grazie ad un colpo di coda lungo 3 puntate riesce a solleticare la curiosità dello spettatore... curiosità che ormai era andata quasi del tutto a farsi benedire. Il rischio (visti i dubbi su una season 2) è che tutti gli ultimi buoni presupposti per il futuro della serie non vengano mai alla luce, dunque il consiglio è uno ed uno soltanto: fino a quando non ci sarà una conferma di una seconda stagione, se non l'avete ancora fatto, potete tranquillamente evitare di iniziare la visione di The Mist. |
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Gennaio 2019
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