Disponibile sulla piattaforma Netflix a partire da gennaio 2016, Paradox è l'ennesimo film (non che personalmente mi dispiaccia) incentrato sui viaggi nel tempo e sui paradossi temporali, dato incomprensibile, a causa l'enigmatico e fuorviante titolo! (dai, un minimo di fantasia almeno per quello...) Nonostante una recitazione piuttosto mediocre da parte dei protagonisti ed effetti speciali (pochi, per fortuna) quantomeno discutibili, Paradox si rivela un b-movie di discreta fattura che riesce bene a destreggiarsi tra le possibili difficoltà che potrebbero derivare dall'affrontare questioni temporali; la pellicola, attraverso una trama divenuta ormai negli anni non proprio originalissima, riesce a portare avanti una narrazione piuttosto lineare e fluente, senza richiedere troppi sforzi cervellotici (vedi ad esempio Synchronicity). Alcune dinamiche della storia potrebbero ricordare Timecrimes (rispetto a Paradox, un vero e proprio piccolo gioiellino del genere), ma la trama si sviluppa fortunatamente in maniera non speculare e riesce anch'essa a regalare più di qualche inaspettata sorpresa. Paradox non sarà ne rivoluzionario, né un gran film (non che qualcuno se l'aspettasse), ma risulta comunque un discreto prodotto che non dispiacerà affatto agli appassionati del cinema di fantascienza...senza elevate pretese. (in basso il trailer in lingua originale del film, anche in HD!)
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[in collaborazione con il sito www.nerdevil.it] xXx è tornato! Xander Cage è tornato! Vin Diesel è tornato…Asia Argento NON è tornata, e questa è già una buona notizia! Sono passati quasi 15 anni da quando la saga di xXx, a metà tra 007, John McClane e Point Break (con una consistente dose di “tamarragine”) fece il suo esordio al cinema nel 2002, proseguita poi con il sequel del 2005 con protagonista Ice Cube che floppò nelle sale, facendo così temporaneamente e velocemente concludere la saga. Ma i tempi sono cambiati, Vin Diesel è cambiato (oltre ai 15kg di massa muscolare in più, è diventato garanzia di guadagno) ed era il momento giusto per far tornare in azione Xander Cage. Come prevedibile non siamo di fronte ad una trama particolarmente complessa e articolata: i cattivi sono in possesso di qualcosa che potrebbe sconvolgere gli “equilibri del mondo” e la CIA ha bisogno di un folle spericolato con particolari capacità che possa recuperarla. Perché non chiamare qualcuno con cui hanno già avuto a che fare e che già in passato ebbe successo? Ergo: prendete una minaccia, buttateci dentro Vin Diesel (con tanto di giacca “pelosa” e trash al seguito) e il gioco è fatto!…direi anche ben fatto, perché no. La pellicola come ovvio che sia parte in quarta, mostrando subito la banda con cui avrà a che fare il nostro (anti)eroe, e poco dopo vediamo Xander in una delle sue giornate tipo: sciata in mezzo alla foresta e corsa in skateboard a 120-130km/h…ordinaria amministrazione, insomma, d’altronde ci troviamo di fronte ad un campione di sport estremi (anche sport che probabilmente non esistono). Viene poi riproposto in maniera speculare anche lo sketch del reclutamento come nel primo capitolo, tanto per rinfrescare la memoria agli spettatori, ed è proprio dopo questo che ha inizio la missione che tutti stanno aspettando, ma più che altro ha inizio un nuovo film: xXx & Furious. Questa volta infatti (e NON è uno spoiler per chiunque abbia visto almeno il trailer) Xander Cage non agirà da solo, ma recluterà una propria “task force” di insoliti soggetti (d’altronde, per essere suoi amici…) da portare in missione al suo fianco. E’ inutile negarlo ma, aggiunti i tatuaggi e tolte le auto, possiamo trovare non pochi punti in comune tra questa pellicola e le ultime della saga di F&F: questa caratteristica però non necessariamente deve essere vista come un difetto, in quanto entrambi i franchise (soprattutto il più longevo) hanno acquisito una propria identità, ma più che altro come una mancanza di originalità, quello sì. Tornando alle new entry, alla nuova banda del protagonista, ci troviamo davanti a personalità completamente differenti, presentate in stile fumettistico come già visto in Suicide Squad: non mi soffermerò qui ad elencare nomi e caratteristiche, ma quel che conta è che, pur non essendo stati caratterizzati con un background particolarmente approfondito, questi riescono a risultare qualcosa di più di semplici macchiette (è già qualcosa, vista la presenza “ingombrante” di Vin Diesel) e a lasciare lo spettatore con la voglia di rivederli ancora in azione. A questi va aggiunta Nina Dobrev (nota per The Vampire Diaries), qui nelle insolite vesti della cervellona occhialuta informatica (figura tanto originale che ad oggi non manca MAI nei film d’azione), che insieme al resto del gruppo regala siparietti e sketch molto divertenti che si mescolano alla perfezione con il clima spensierato e “caciarone” della pellicola. Per quanto riguarda i “cattivi”, anche qui non siamo al cospetto di personalità particolarmente approfondite, ma merita senza dubbio di essere menzionato “Mr. Ip Man” Donnie Yen (recentemente apprezzato anche in Rogue One), protagonista di molte delle scene d’azione, inseguimenti e scazzottate a colpi di arti marziali del film: scene che ovviamente sono il piatto forte della pellicola. La qualità di alcune sequenze raggiunge infatti livelli piuttosto alti, tanto spettacolari quanto inverosimili, sia chiaro, ma d’altronde chissenefrega? Perché qualcuno dovrebbe entrare in sala a vedere Il ritorno di Xander Cage se non per questo? Fortunatamente non è tutto qui, e la trama riesce a regalare discreti colpi di scena, rovesciamenti di fronte e gradite sorprese, mantenendo sempre un ritmo sostenuto ed un alto tasso di adrenalina. Questo nuovo xXx è volutamente esagerato, al passo con i tempi (si è passati dalle musiche dei Rammstein ai DJ), con Vin Diesel (ormai lo stile-Toretto fa parte del suo essere e di quasi tutte le sue produzioni) e con il (buon) cinema d’azione senza pretese di oggi. Il Ritorno di Xander Cage è (l’ennesimo) esempio di cinema d’intrattenimento che riesce, nonostante tutto, ad attirare gente al cinema, gente a cui serenamente (come il sottoscritto) piace entrare in sala ed impostare il cervello in “modalità-trash “(nel senso più positivo del termine) per godersi uno spettacolo di testosterone, machismo (non mancano belle presenze femminili, come di consueto), azione ed esplosioni: se siete dei “palati fini” della settima arte o state cercando qualcosa di nuovo ed innovativo nel genere d’azione, rimanete serenamente lontani da questo film, ma se state leggendo questa recensione probabilmente non lo siete, e vedendolo vi renderete conto di aver trascorso una spassosa ora e quaranta. Potrete negarlo quanto volete, ma senza rendervene conto vi ritroverete ad uscire dalla sala forse addirittura “storditi” da tutta la baraonda, ma con un ghigno beffardo e soddisfatto stampato in faccia…aspettando il prossimo capitolo. (in basso, il trailer del film, anche in HD!) Allied è uno di quei film di cui dovete leggere solo recensioni come questa, senza guardare il trailer. Davvero, non guardatelo! E' uno spoiler, vi ruba la suspance e lo stupore che sarebbe sicuramente in grado di regalare allo spettatore quest’ultimo film di Robert Zemeckis (regista tra gli altri, di Ritorno al Futuro, Forrest Gump e Cast Away, tanto per citarne qualcuno...) La trama (depurata dagli spoiler) è incentrata essenzialmente su un’impervia storia d’amore ai tempi della seconda guerra mondiale tra Max Vatan, comandante dell’aviazione canadese (interpretato dall’inossidabile Brad Pitt) e Marianne Beausejour (la sempre più diva Marion Cotillard), bella e letale spia in missione a Casablanca. La prima metà del film è, in effetti, un film di spionaggio senza infamia e senza lode, utile più che altro a presentare il contesto improbabile ed insospettabilmente violento che fa da sfondo al sorgere della passione irrefrenabile tra i due protagonisti. La complicità-competitività che si instaura tra i due (con tanto di notti in cui il buon Max viene mandato a dormire sul tetto, perché, santo lui, “così fanno i mariti a Casablanca”) aggiunge un po’ di pepe (e sabbia, poi capirete perché) al lineare incedere verso il momento clou di questa parte “spy” del film, rappresentata dall’eliminazione, da parte dell’affiatata coppia, del solito temibile nazista in visita a Casablanca. Casablanca che, con le sue atmosfere calde e i suoi corpi madidi di sudore, sembra il set ideale per infiammare gli animi dei protagonisti. È con lo spostarsi della storia dal Marocco alla placida e piovosa Londra che il primo “mini-film” di cui si compone Allied si conclude, a mo’ di atto teatrale, avendo tutto sommato efficacemente presentato i personaggi e le contingenze storiche. Viene così spazio al secondo atto, quello che indaga sulla love story in sé e (almeno così sembra) si distacca dal cinico mondo dello spionaggio militare. Un secondo atto più intimo, intenso, coinvolgente del primo, e che reca con sé una tensione ed un’ambiguità che dureranno sino al finale del film. È davvero possibile, per i due protagonisti, portare avanti una storia d’amore tra bombe, pareti di ospedali che crollano, aerei che cadono in picchiata sopra le case e la morte sempre dietro l’angolo? Ed è davvero possibile fidarsi l’uno dell’altro, quando quella stessa storia d’amore è nata nel corso di una messinscena orchestrata da Max e Marianne per apparire all’esterno come marito e moglie quando, in realtà, loro sono due micidiali spie in tempo di guerra? Il climax di Allied conduce ad un emozionante ed alquanto impronosticabile finale, che conferisce al film una dimensione più alta di quanto le premesse potessero far credere. Non un capolavoro ma un bel film, che nonostante la lunghezza oramai insolita (147 minuti) scorre via veloce, scandito da sequenze quasi auto-concludenti ma collegate: si è parlato di due atti, ma in realtà ve ne è un terzo, costituito proprio dal finale, su cui chiaramente non è il caso di dilungarsi per evitare di rivelare la sorpresa. Forse il tutto sarebbe potuto essere confezionato in un film più classico e più realistico (alcune scene, come quella dell’ospedale bombardato, possono apparire eccessive all’occhio di uno spettatore che cerchi verosimiglianza), ma sarà stata evidentemente una scelta registica di Zemeckis (con l’aiuto della fotografia particolarmente vivida di Don Burgess) quella di colorare il film con tratti digitali che lambiscono, visivamente le sponde del film d’animazione (un po’ come avvenuto nel recente The Walk, che presenta lo stesso stile grafico). Al netto di queste considerazioni rimane, comunque, la godibilità di una pellicola di livello, che ha ben saputo miscelare elementi da film d’azione, del film storico e del romance tormentato, con un Brad Pitt oramai fin troppo credibile nel ruolo dell’innamorato folle (e ad oltranza) ed una Marion Cotillard perfettamente a suo agio sia nelle vesti della femme fatale inafferrabile che in quelle della fragile vittima degli eventi. rece by Il Merlo (in basso il trailer del film, anche in HD) In un futuro non meglio precisato, l’umanità – almeno quella più facoltosa ed intraprendente – avrà la possibilità di scegliere su quale pianeta spendere la propria vita, o parte di essa, spostandosi dalla Terra verso nuovi, splendidi mondi a bordo di enormi astronavi su cui i passeggeri viaggiano ibernati per anni, decenni se non addirittura secoli. Su questa base fantascientifica, a ben vedere neanche troppo originale, il regista norvegese Morten Tyldum ha impiantato una travolgente storia d’amore tra Jim (Chris Pratt) ed Aurora (Jennifer Lawrence), giovani, belli e, come spesso avviene ad Hollywood, appartenenti a due mondi diametralmente opposti: Jim è il meccanico della porta accanto, Aurora la figlia famosa di uno scrittore ancor più famoso. Anche qui, dunque, non è che ci stropicciamo gli occhi per l’originalità e la genialità degli sceneggiatori. La vera carta vincente del film però, è costituita dal modo in cui propone il tema della solitudine, affrontato efficacemente nella prima mezz’ora della pellicola, nel momento in cui a bordo di questa mastodontica astronave si risveglia il nostro Jim, inizialmente entusiasta di scoprire le novità che il nuovo mondo gli riserverà, salvo scoprire di essersi destato in anticipo di 90 anni rispetto a quanto programmato e che, non potendosi nuovamente ibernare, sarà costretto a passare il resto della sua vita in una prigione tecnologica ed itinerante mentre gli altri 4999 passeggeri sono comodamente congelati in attesa dell’approdo al pianeta Homestead II. In questa fase, in effetti, lo spettatore riesce ad immedesimarsi intensamente nel dramma interiore del personaggio, che sognava un futuro migliore e che invece si trova a dover spendere l’unica vita che ha in un luogo estraneo, enorme quanto, di fatto, vuoto. Vuoto soprattutto perché non ci sono altri esseri umani svegli: gli altri passeggeri si possono vedere, si possono toccare, si può indagare sulle storie della loro vita passata, ma non è possibile interagirci. Unica eccezione con la quale interagire è rappresentata da Arthur (Michael Sheen), barista robotico con cui il protagonista instaura conversazioni al suo bancone che strizzano l'occhio a quelle di Jack Nicholson nel celeberrimo Hooverlook Hotel. Quando poi a svegliarsi è Aurora, ed inizia, neanche troppo rapidamente (ma state da soli con 89 anni di viaggio dinanzi a voi, che aspettate?), la storia d’amore tra lei e Jim, la riflessione dello spettatore si sposta su un’altra tematica, ovvero: quante e quali colpe si possono perdonare ad una persona logorata dalla solitudine? E voi, se poteste scegliere, lascereste una vita piena e libera alla persona che amate, o cerchereste di trattenerla insieme a voi, fuori dal mondo e da qualsiasi altra interazione umana? Il film risulta tutto sommato godibile proprio perché, seppur non originale se scomposto nelle sue due linee direttrici (la trama fantascientifica e quella romantica), riesce a stimolare riflessioni interessanti, a coinvolgere lo spettatore e farlo interrogare su cosa lui farebbe o avrebbe fatto se calato nella stessa situazione di Jim (e poi di Aurora). Se poi si va ad analizzare ogni cosa nello specifico si può dire che la storia d’amore potrebbe risultare un po’ banale (con il cliché macho sempliciotto-ragazza ricca/snob/pseudo-intellettuale) e il plot fantascientifico presenta non poche forzature di sceneggiatura (una in particolare, non rivelabile per ovvi motivi si spoiler!); va bene che era la premessa per fare il film, ma il fatto che una nave di questa portata viaggi per 120 anni nello spazio senza che vi sia un membro equipaggio sveglio a darsi il cambio (mese per mese, anno per anno, fate voi) per ovviare ad eventuali, se non ovvi, problemi tecnici che possono presentarsi durante un interminabile viaggio intergalattico, passando accanto a stelle ed in mezzo a piogge di meteoriti, come lo si può commentare? E il fatto che a bordo sia possibile finanche “resuscitare” le persone, ma non ibernarle? Il senso di tutte queste osservazioni, in ogni caso, è: approcciate al film con leggerezza, con un atteggiamento non troppo puntiglioso, col cuore pronto a recepire tutto il pathos ma la mente con la spina ben staccata: non dovreste, in questo modo, annoiarvi più di tanto a vedere Passengers, ma anzi potrebbe piacervi. Un plauso infatti va fatto al regista per aver regalato un film visivamente molto valido, con sequenze ambientate nello spazio profondo (e non solo) completamente mozzafiato, e per aver mostrato i due validi attori sempre in parte, anche in ruoli abbastanza inediti per loro. Per concludere, una nota di merito per la folgorante interpretazione di Andy Garcia: non si vedeva una prova recitativa così profonda e convincente dai tempi de Il Padrino...dai tempi de Gli Intoccabili... ma no, ancor più in alto...dai tempi dell'Amaro Averna. rece by Il Merlo (in basso il trailer del film, anche in HD) Era l'ormai lontano 1999 quando The Blair Witch Project con 2 soldi o quasi, riuscì a conquistare pubblico e critica regalando al mondo il primo film/documentario girato con telecamere amatoriali, racimolando quasi 250milioni di dollari in tutto il mondo. Saremo tutti grati agli ideatori di questa nuova formula di fare cinema, che negli anni è riuscita a regalare film degni di nota come Cloverfield, Rec (il primo!) e Paranormal Activity (il primo!)...ma anche una miriade di imitazioni, la maggior parte delle quali da poter tranquillamente buttare nel water e scaricare repentinamente. La pellicola ispirò un sequel apocrifo nel 2002 (questa volta girato in maniera tradizionale) che è rapidamente finito nel dimenticatoio; si pensava che la lezione di 14 anni fa fosse bastata, invece NO! Ecco arrivare nel 2016 Blair Witch (già originalissimo nel titolo), sequel “ufficiale” della pellicola del 1999. Blair Witch mostra le vicende di un gruppo di ragazzi , tra cui il fratello della protagonista del primo film, che in seguito al ritrovamento del video di 17 anni prima, si inoltrano nei boschi di Burkittsville per scoprire cosa sia successo alla sorella del proprio amico e magari per tentare di far riaprire il caso. Il film è girato con la stessa tecnica del suo predecessore e tenta di ricalcare le sue orme attraverso una trama ed uno svolgimento quasi del tutto analoghi, dimostrando una pressochè totale povertà di idee. Nella prima noiosissima ora ci regala inoltre perle come ad esempio il desiderio del protagonista di ritrovare la sorella...dopo mesi di indagini e setacciamentti avvenuti 17 (DICIASSETTE!) anni prima, il tentativo degli escursionisti di individuare con un drone la casa nel bosco presente nel primo film (dopo mesi di indagini e setacciamentti avvenuti DICIASSETTE anni prima!!) e come ciliegina il più classico dei clichè, secondo il quale si presuppone che la scomparsa di un componente del gruppo sia avvenuta perchè “si sarà perso per andare a fare la PIPI'”, quando, soprattutto tra amici, ci si allontanerebbe di massimo 90cm dalla tenda per farla, soprattutto di notte! Perlomeno negli ultimi 20 minuti (su 80 totali, esclusi titoi di coda) la pellicola, attraverso un finale claustrofobico, riesce a regalare qualche sporadico momento di paura, accompagnato da piccole trovate grossomodo interessanti che denotano un minimo di impegno da parte degli sceneggiatori nel non voler realizzare una esatta copia del fortunato primo capitolo. Può bastare questo per realizzare un discreto film ed un dignitoso sequel? Assolutamente NO, e gli incassi e l'interesse che ha prodotto Blair Witch, in aggiunta alle critiche tutt'altro che entusiasmanti, ne sono la prova. Forse qualcuno pensava di poter fare soldi con un film del genere: un inutile sequel/quasi-remake che ha ben poche ragioni di essere concepito, se non appunto quello di “rubare” più soldi possibili... ma fortunatamente non è stato così,per buona pace della vera ed originale Strega di Blair. (in basso, il trailer della serie, anche in HD!) |
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Gennaio 2019
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