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Passengers (2016)

1/11/2017

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In un futuro non meglio precisato, l’umanità – almeno quella più facoltosa ed intraprendente – avrà la possibilità di scegliere su quale pianeta spendere la propria vita, o parte di essa, spostandosi dalla Terra verso nuovi, splendidi mondi a bordo di enormi astronavi su cui i passeggeri viaggiano ibernati per anni, decenni se non addirittura secoli.

Su questa base fantascientifica, a ben vedere neanche troppo originale, il regista norvegese Morten Tyldum ha impiantato una travolgente storia d’amore tra Jim (Chris Pratt) ed Aurora (Jennifer Lawrence), giovani, belli e, come spesso avviene ad Hollywood, appartenenti a due mondi diametralmente opposti: Jim è il meccanico della porta accanto, Aurora la figlia famosa di uno scrittore ancor più famoso. Anche qui, dunque, non è che ci stropicciamo gli occhi per l’originalità e la genialità degli sceneggiatori.


La vera carta vincente del film però, è costituita dal modo in cui propone il tema della solitudine, affrontato efficacemente nella prima mezz’ora della pellicola, nel momento in cui a bordo di questa mastodontica astronave si risveglia il nostro Jim, inizialmente entusiasta di scoprire le novità che il nuovo mondo gli riserverà, salvo scoprire di essersi destato in anticipo di 90 anni rispetto a quanto programmato e che, non potendosi nuovamente ibernare, sarà costretto a passare il resto della sua vita in una prigione tecnologica ed itinerante mentre gli altri 4999 passeggeri sono comodamente congelati in attesa dell’approdo al pianeta Homestead II.

In questa fase, in effetti, lo spettatore riesce ad immedesimarsi intensamente nel dramma interiore del personaggio, che sognava un futuro migliore e che invece si trova a dover spendere l’unica vita che ha in un luogo estraneo, enorme quanto, di fatto, vuoto. Vuoto soprattutto perché non ci sono altri esseri umani svegli: gli altri passeggeri si possono vedere, si possono toccare, si può indagare sulle storie della loro vita passata, ma non è possibile interagirci. Unica eccezione con la quale interagire è rappresentata da Arthur (Michael Sheen), barista robotico con cui il protagonista instaura conversazioni al suo bancone che strizzano l'occhio a quelle di Jack Nicholson nel celeberrimo Hooverlook Hotel.



Quando poi a svegliarsi è Aurora, ed inizia, neanche troppo rapidamente (ma state da soli con 89 anni di viaggio dinanzi a voi, che aspettate?), la storia d’amore tra lei e Jim, la riflessione dello spettatore si sposta su un’altra tematica, ovvero: quante e quali colpe si possono perdonare ad una persona logorata dalla solitudine? E voi, se poteste scegliere, lascereste una vita piena e libera alla persona che amate, o cerchereste di trattenerla insieme a voi, fuori dal mondo e da qualsiasi altra interazione umana?


Il film risulta tutto sommato godibile proprio perché, seppur non originale se scomposto nelle sue due linee direttrici (la trama fantascientifica e quella romantica), riesce a stimolare riflessioni interessanti, a coinvolgere lo spettatore e farlo interrogare su cosa lui farebbe o avrebbe fatto se calato nella stessa situazione di Jim (e poi di Aurora).
Se poi si va ad analizzare ogni cosa nello specifico si può dire che la storia d’amore potrebbe risultare un po’ banale (con il cliché macho sempliciotto-ragazza ricca/snob/pseudo-intellettuale) e il plot fantascientifico presenta non poche forzature di sceneggiatura (una in particolare, non rivelabile per ovvi motivi si spoiler!); va bene che era la premessa per fare il film, ma il fatto che una nave di questa portata viaggi per 120 anni nello spazio senza che vi sia un membro equipaggio sveglio a darsi il cambio (mese per mese, anno per anno, fate voi) per ovviare ad eventuali, se non ovvi, problemi tecnici che possono presentarsi durante un interminabile viaggio intergalattico, passando accanto a stelle ed in mezzo a piogge di meteoriti, come lo si può commentare? E il fatto che a bordo sia possibile finanche “resuscitare” le persone, ma non ibernarle?


Il senso di tutte queste osservazioni, in ogni caso, è: approcciate al film con leggerezza, con un atteggiamento non troppo puntiglioso, col cuore pronto a recepire tutto il pathos ma la mente con la spina ben staccata: non dovreste, in questo modo, annoiarvi più di tanto a vedere Passengers, ma anzi potrebbe piacervi. Un plauso infatti va fatto al regista per aver regalato un film visivamente molto valido, con sequenze ambientate nello spazio profondo (e non solo) completamente mozzafiato, e per aver mostrato i due validi attori sempre in parte, anche in ruoli abbastanza inediti per loro.
​Per concludere, una nota di merito per la folgorante interpretazione di Andy Garcia:

non si vedeva una prova recitativa così profonda e convincente dai tempi de Il Padrino...dai tempi de Gli Intoccabili... ma no, ancor più in alto...dai tempi dell'Amaro Averna.



rece by Il Merlo



                                                        (in basso il trailer del film, anche in HD)
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