[In collaborazione con gli amici di www.nerdevil.it !] Ci sono voluti ben 52 anni (la prima apparizione del personaggio risale al 1966) affinché il primo supereroe di colore riuscisse ad avere una sua versione cinematografica, ma finalmente questo 2018 ha portato con sé il film interamente dedicato a Pantera Nera (o meglio T’Challa, Re e protettore del Wakanda), il 18° cinecomic targato Marvel Studios. A dire il vero la sua storia ha avuto inizio in Captain America: Civil War, dove abbiamo visto per la prima volta -in abiti civili e non- l’allora principe insieme al padre, caduto sotto le esplosioni di un attentato a Vienna. Ora però è tempo di tornare a casa, nella madre Africa, dove l’erede al trono si appresta ad essere incoronato come nuovo sovrano. Dopo Luke Cage, il black power di casa Marvel passa dal piccolo al grande schermo, ma le differenze tra i due non potrebbero essere più grandi: non ci troviamo a New York, ad Harlem, non c’è nessuna rivalsa sociale, e non c’è il ghetto, ma un intero popolo. Black Panther catapulta lo spettatore in un nuovo mondo, un regno nascosto, un’ambientazione del tutto inedita che già di per se rappresenta una sfiziosa novità nel Marvel Cinematic Universe; un luogo terrestre e non cosmico, dove antiche tradizioni e modernità si fondono e convivono all’unisono creando un connubio tanto insolito quanto affascinante. Tutto perfettamente accompagnato da musiche anch’esse figlie del nuovo e vecchio black style con paesaggi mozzafiato a completare il quadro. È quasi paradossale di questi tempi (specie in Italia) assistere ad una storia dove sia l’etnia di colore a voler rimanere separata dall’Occidente, ma d’altronde se c’è il vibranio di mezzo…. Difficile non affezionarsi subito alla stragrande maggioranza dei comprimari della pellicola, tra cui spiccano la giovane sorella del protagonista Shuri (cervellona a livelli che “Tony Stark levati”), la guerriera Okoie (la Michonne di The Walking Dead), la ex di turno Nakia (interpretata dal Premio Oscar Lupita Nyong’o), fino ad arrivare al personaggio interpretato da Michael B. Jordan, Killmonger, il villain della storia. Non sempre un gran bel cast (al quale vanno aggiunti altri nome del calibro di Forest Whitaker, Martin Freeman, Daniel Kaluuya e Angela Bassett) è sinonimo di successo, ma uno dei valori di Black Panther è senz’altro quello di aver saputo valorizzare ognuno dei suoi interpreti tanto quanto basta per farceli rimanere impressi nella memoria. Per il resto si può tranquillamente affermare che il film diretto da Ryan Coogler (già regista dell’ottimo Creed) segua una sceneggiatura semplice, senza particolari fronzoli e con i giusti colpi di scena, che narra la storia di una grande famiglia, dove le colpe dei padri potrebbero ricadere sui figli, un dramma familiare che sembra ricordare addirittura Il Re Leone. Questa volta però non c’è un invidioso e viscido Zio Scar, ma un Killmonger col quale non è poi tanto difficile empatizzare, e comprendere quindi cosa lo spinge ad agire in un certo modo (certamente discutibile). Michael B. Jordan prosegue l’ultima felice tendenza in casa Marvel di valorizzare anche i propri cattivi (uno su tutti l’Avvoltoio di Michael Keaton), regalando una performance senza sbavature, che sbatte in faccia allo spettatore tutto il rancore e la rabbia del suo personaggio. Dopo il disastroso Fantastic Four del 2015 (dove ha interpretato la Torcia Umana), l’attore si è preso una gran bella rivincita nell’ambito dei cinecomic, riuscendo in più di qualche frangente a rubare la scena al protagonista Chadwick Boseman, che paradossalmente risulta più accattivante nella sua prima apparizione che non nel qui (forse la sua ottima interpretazione nel 2016 ha portato troppo in alto le aspettative). Nota di merito anche per Martin Freeman, che nei panni dell’agente CIA Everett Ross ricopre a sorpresa un ruolo piuttosto importante. È ormai impossibile che le vicende di questo immenso universo cinematografico non si interconnettano l’una all’altra, ma il film, nonostante i dovuti collegamenti con gli altri capitoli, è uno di quelli che maggiormente potrebbe vivere di vita propria. Black Panther è senz’altro uno dei film più maturi del MCU, in cui non c’è spazio per la comicità ai limiti del demenziale vista in Thor: Ragnarok, ma al massimo momenti più “leggeri”, che non spezzano affatto la profondità della storia; si sorride ma non si ride, e va senz’altro bene così. Bello, spontaneo e divertente il rapporto fratello-sorella tra T’Challa e la principessina Shuri. Ovviamente non manca l’azione, con sequenze adrenaliniche e sempre spettacolari che raggiungono il culmine con la grande battaglia finale (e mi fermo qui per non svelare troppo). Nella pellicola l’azione non è preponderante, ma non passa affatto inosservata. Il regista ha saputo ben dosare l’equilibrio tra l’azione e sequenze più lente, dialogate e riflessive (da non intendere assolutamente come “noiose”). Macroscopicamente questo primo film Marvel del 2018 non presenta particolari difetti: certo, la CGI di Black Panther restituisce un po’ un “effetto videogame” non eccezionale, simile a quello dello Spider-Man di Tom Holland, ma il costume tecnologicamente anti-tutto del Re Wakandiano è magnifico e quindi questo particolare tende a passare in secondo piano. Black Panther è un film canonico, semplice ma non banale, che nella sua “normalità” ha il merito perlomeno di fornire un’ambientazione inedita, visivamente d’impatto, oltre a personaggi ben scritti. Non è di certo il capolavoro che ci hanno descritto oltreoceano, ma d’altronde le opinioni su ogni nuovo cinecomic sembrano non avere mezze misure, e ogni volta si sente parlare solo di “capolavoro” o “cagata pazzesca” (abbiamo anche pubblicato un articolo sull’argomento). Una cosa però è sicura: la Marvel ancora una volta ha fatto centro, senza troppi sforzi e facendo quello che le riesce meglio. Black Panther è un film meravigliosamente modesto, una pellicola che non entusiasma a livelli incredibili, ma certamente permette di lasciare la sala soddisfatti. E ottiene questo risultato di per sé, senza doversi poggiare molto sulle 2 scene post-credits, anch’esse piuttosto “normali”, ma attorno alle quali ruota giustamente molta curiosità, visto l’arrivo imminente dell’attesissimo Avengers: Infinity War che vedrà entrare in azione il titano pazzo Thanos. [In basso il trailer del film anche in HD!]
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[In collaborazione con gli amici di www.nerdevil.it !] C’è chi guarda il Super Bowl perché ama il football, chi perché ama la musica e aspetta le esibizioni live dei numerosi artisti che ogni anno ospita l’evento, e chi, come chi starà leggendo questa recensione, molto probabilmente se ne frega dei primi due e lo aspetta solo per poter vedere i nuovi trailer dei film più attesi. Quest’anno però si è andato oltre per quest’ultima categoria, e il Super Bowl ha regalato (indirettamente) addirittura un film intero! Ebbene sì, perché Netflix non si è limitata a presentare il primo trailer di The Cloverfield Paradox, ma ha deciso di distribuirlo sulla sua piattaforma a partire dal termine del grande evento sportivo. Dunque, dopo anni di travagliata gestazione e di notizie vaghe e contrastanti trapelate col contagocce, ecco che da un giorno all’altro Netflix ci sbatte in faccia questo nuovo capitolo di una delle saghe più anomale del cinema. Era il lontano 2008 quando spuntò fuori quasi dal nulla (è un simpatico vizio della saga) Cloverfield, atipico monster movie girato in stile mockumentary, che si rivelò un buonissimo successo di pubblico e incassi, reso ancor più chiacchierato dalla insolita e criptica campagna di marketing virale che lo accompagnò e dai numerosi easter-egg presenti in esso. Sin da subito si parlò di un sequel, ma dovettero aspettare altri 8 anni prima che nel 2016 venisse distribuito 10 Cloverfield Lane, che alla fine della fiera si rivelò un seguito “spirituale” del predecessore (con parziale delusione di chi, come il sottoscritto, si aspettava un proseguimento della storia), ma comunque una pellicola di buona fattura, con un John Goodman in splendida forma. Dopo questa breve rinfrescata torniamo ad oggi, dove Netflix ci presenta questo nuovo capitolo come sequel diretto del film di 10 anni fa: ma sarà davvero così? La risposta più azzeccata è un deciso “NI”, visto che basta dare un’occhiata al materiale pubblicitario per constatare che la storia è ambientata addirittura nel 2028 (ma c’è sempre di mezzo la famigerata Tagruato). Le vicende si svolgono nella stazione orbitante Cloverfield, dove l’equipaggio sta cercando di mettere in funzione un acceleratore di particelle grazie al quale poter fornire energia illimitata ad una Terra sull’orlo di una crisi mondiale. Abbiamo un equipaggio, una missione, un acceleratore di particelle e… un guasto: gli elementi ci sono tutti e non è difficile immaginare che la situazione potrebbe prendere una piega infelice. Protagonisti della storia sono 8 astronauti tra cui spiccano lo Schmidt di Daniel Bruhl e la Jensen interpretata da Elizabeth Debicki, di cui non sappiamo nulla e che tutto sommato non ci interessa approfondire ai fini della storia. L’eccezione è rappresentata da Hamilton (Gugu Mbatha-Raw) che attraverso la sua storyline col marito Michael, permette lo sviluppo della sottotrama secondaria ambientata sulla Terra, che pare voglia ricollegarsi agli avvenimenti del film del 2008. Esiste un filo conduttore netto che collega i capitoli di questa saga: l’ignoto. L’ignoto è non sapere cosa stia succedendo in città e da cosa si stia scappando, l’ignoto è non sapere perché si sia stati rinchiusi in un bunker anti-atomico e cosa ci sia al di fuori di esso, l’ignoto è non sapere cosa possa aver provocato il malfunzionamento di uno degli strumenti più sofisticati prodotti dalla scienza come un acceleratore di particelle. Il film è un alternarsi di dubbi, misteri, situazioni inspiegabili che, data l’ambientazione vista e stravista, permettono di non scivolare troppo nei vari clichè di turno (come accaduto miseramente ad esempio in Life – Non oltrepassare il limite). La curiosità di avere risposte e le tematiche in stile Fringe (che vorrebbero anche strizzare l’occhio ad Interstellar) contribuiscono a mantenere costantemente un ritmo ben sostenuto per i suoi 100 minuti, accompagnate inoltre da un regia senza sbavature del giovane esordiente Julius Onah, che offre discreti momenti di tensione. The Cloverfield Paradox è questo: un detto ma non detto, un fumo abbondante con un arrosto discreto, un film che soddisfa ma non del tutto, che però lascia con la voglia di sapere ancor di più di quel che si è capito; un po’ come ridere a crepapelle per il modo in cui sia stata raccontata una barzelletta, rendendosi conto in un secondo momento che forse la barzelletta non era ancora terminata. J.J. Abrams non sarà accreditato tra gli sceneggiatori, ma la sua mano da gran parac**o è tangibile in questo come negli altri capitoli. Dal monster movie Cloverfield, al thriller drammatico 10 Cloverfield Lane si è arrivati a questo thriller fantascientifico a tinte horror che probabilmente dividerà il pubblico, ma per chi conosce la saga e le sue evidenti ambizioni di “nicchia”, The Cloverfield Paradox rappresenterà un discreto film di fantascienza che fa il suo lavoro, tentando di regalare qualcosa di accattivante avvalendosi anche di qualche guizzo ben riuscito. Viene da chiedersi: vedremo mai un sequel? Sarà un sequel diretto? La risposta alla prima domanda è sicuramente sì: stando alle parole proprio di J.J. Abrams, infatti, il quarto capitolo sarebbe già stato girato e avrebbe anche un titolo (Overlord), ma dalle pochissime informazioni giunte sappiamo che sarà ambientato addirittura durante la Seconda Guerra Mondiale. Dunque, addio seguito diretto. Magari dovremo aspettare altri 10 anni, o magari ci renderemo conto che Netflix lo ha già inserito nella sua piattaforma senza dirci nulla. Visti gli ultimi sviluppi, nulla è escluso! (In basso il trailer del film, anche in HD!) La crisi creativa di Hollywood, tra reboot, remake, requel e revival, è ormai palese a chiunque e ne è ennesima dimostrazione il fatto che nel 2017 tra le pellicole proposte nelle sale ci sia il 18° (diciottesimo!) film della saga di Amityville – dei quali forse un paio degni di nota e distribuiti nei cinema. Inutile ripetere per l'ennesima vola la storia da cui prende spunto la saga il film: tutti sapranno la strage familiare che compì Ronald deFeo Jr. nel 1974 nella casa al 112 Ocean Avenue di Amityville... o perlomeno tutti avranno visto almeno uno dei 17 lungometraggi che precedono questo. Questa nuova pellicola si svolge esattamente 40 anni dopo i citati avvenimenti e narra le (dis)avventure della famiglia di Belle (Bella Thorne), orfana di padre, sua madre, la sua sorellina e del fratello ora tetraplegico in seguito ad un incidente, tenuto in vita artificialmente. Qualche spunto interessante, come la questione sempre attuale sull'eutanasia e l'inutilità dell'accanimento terapeutico, una fotografia discreta e azzeccata, e una recitazione tutto sommato dignitosa, non bastano per rendere questo prodotto degno di nota. Amityville: Il Risveglio non è un pessimo film, sia ben chiaro, semplicemente rappresenta la summa del già visto e rivisto; storia stravista, fighetta di turno da poter inquadrare in slip per casa stravista, personaggi che definire stereotipati è riduttivo, nonostante la presenza di Jennifer Jason Leigh e Dominic Monaghan (Gotham, Shameless). Superfluo spendere troppe parole su 90 minuti standard che regalano qualche brivido e nulla più, senza neanche provare ad offrire qualcosa di nuovo al pubblico (come si è almeno tentato di fare con Leatherface): difficile scegliere l'aggettivo più adatto tra banale e inutile. Com è possibile che in mezzo a nuove e buone saghe horror come The Conjuring e Insidious ci sia ancora chi spera di guadagnare il gruzzoletto con determinate produzioni? Come già detto e come si sente dire da anni... “c'è crisi!” (In basso il trailer della pellicola, anche in HD!) E' bene dirlo subito: Gerald's Game (produzione Netflix del 2017) sorprenderà positivamente i lettori del romanzo di King, data la fedeltà con l'opera originale. Già di per sé il libro (pubblicato nell'ormai lontano 1992) rappresenta un qualcosa di atipico rispetto a quanto ci ha abituati Stephen King, seppur riuscendo a mantenere sempre la caratterizzazione dei personaggi che lo contraddistingue, fino a quella capacità di far immedesimare il lettore nel disagio psicologico e la paura dei protagonisti. In questa trasposizione, in maniera un po' diversa rispetto al libro, si riesce comunque a far capire la personalità, gli incubi e i demoni interni di cui non si potrà mai liberare la protagonista. Il tutto condito da due attori all'altezza con monologhi credibili (bravo Bruce Greenwood, bravissima Carla Gugino), una bella casa isolata in riva al lago, problemi di molte coppie e quelle presenze da scoprire (reali o no?); tutti questi elementi rendono la pellicola un bellissimo e godibilissimo thriller/horror che non ha bisogno di jumpscare per sorprendere, grazie alla forte presenza psicologica ed un crescendo di tensione. Nonostante il film sia praticamente quasi tutto ambientato in una camera da letto, i 103 minuti diretti da Mike Flanagan (dopo il buon Ouija-L'origine del Male), scorrono via senza accorgersene; nel suo piccolo probabilmente uno dei più riusciti adattamenti dai libri del Maestro King ed tra i prodotti offerti in questa annata 2017 da Netflix. rece by Spike (In basso il trailer anche in HD) [In collaborazione con gli amici di www.nerdevil.it !] “Sembrava impossibile, ma ce l’hanno fatta…” No, non stiamo riproponendo il celebre spot di un ottimo amaro, ma parliamo di Justice League. Dopo i precedenti prodotti targati Warner/DC (fatta eccezione per Wonder Woman) non erano in molti a pensare che questo crossover potesse veramente convincere e dare una certa credibilità al DCEU, ma dopo quasi 5 anni e più di qualche occasione sprecata, pare che ai piani alti abbiano iniziato a capire come realizzare un cinecomic. Nonostante il triste addio alla regia di Zack Snyder sia avvenuto a riprese quasi ultimate (si vocifera dopo un buon 80% di girato) è innegabile come il lavoro del subentrato Joss Whedon (non uno qualsiasi, parlando del genere) abbia contribuito alla parziale riuscita della pellicola. Il compito di questo crossover era tanto semplice quanto arduo: semplice perché bisognava fare meglio dei suoi predecessori (impresa tutt’altro che impossibile), difficile perché bisognava farlo tramite una pellicola con protagonisti personaggi che non erano stati ancora introdotti… col rischio di fare il solito pastrocchio. Justice League riparte dai due punti fermi dell’attuale DCEU: Bruce Wayne ed una Diana Prince (Gal Gadot) per la quale non serve più scrivere elogi. Superman è morto lasciando un mondo in lutto e senza speranza, una minaccia epocale sta giungendo da molto lontano per impadronirsi della Terra e i due “colleghi”, da novelli Nick Fury, hanno bisogno di reclutare uomini con abilità speciali per fronteggiare l’arrivo di Steppenwolf ed i suoi fastidiosissimi e ronzanti scagnozzi volanti, detti anche Parademoni. Un po’ come Loki ed i Chitauri, tanto per intenderci. Tutto molto semplice e abbastanza lineare, per una pellicola perfettamente suddivisa in due parti, dove nella prima si assiste al reclutamento ed alla presentazione di tutti i personaggi, e nella seconda al confronto totale col cattivo di turno. Dei tre nuovi eroi – Flash, Aquaman e Cyborg – non sappiamo praticamente nulla, ma la loro presentazione, con tutti i limiti di minutaggio del caso, riesce ad essere sufficientemente buona sia per comprendere le loro azioni, sia per lasciare allo spettatore la voglia di saperne ancora di più. D’altronde, che la Warner abbia avuto fretta nello sfornare questo crossover è cosa nota, al contrario della concorrente Marvel, che con un oculato progetto studiato a tavolino fece in modo di realizzare uno stand-alone su tutti i suoi protagonisti prima di realizzare The Avengers. Paragoni a parte, Barry Allen è a tutti gli effetti il comic-relief del gruppo (nonostante la sequenza più divertente del film veda protagonista Aquaman), ancora acerbo, con un dramma familiare alle spalle ma tanta voglia di rivalsa. Arthur Curry è il tamarro burbero ma dal gran cuore, e Victor Stone è l’outsider,un ragazzo tormentato dalla sua condizione fisica ed alle prese con un potere più grande di lui; questo è ciò che sappiamo dei nuovi protagonisti e tutto sommato basta ai fini della storia. Gli interpreti poi appaiono subito a loro agio nei panni degli eroi che interpreteranno per i prossimi anni, e se questa è la loro prima apparizione, in futuro ci sarà da divertirsi! I fanboy della DC (e magari haters della Marvel) storceranno il naso – o magari abbandoneranno la lettura – dopo la prossima affermazione, ma con Justice League pare piuttosto evidente l’inizio di un processo di “marvelizzazione” in casa Warner: è innegabile come il tono della pellicola sia più scanzonato rispetto alle precedenti uscite (nonostante la fotografia ancora piuttosto cupa e desaturata in perfetto stile Snyder voglia far credere il contrario). Questa volta si sorride, fortunatamente non toccando i livelli di Thor: Ragnarok, e ne è la dimostrazione il fatto che Ben Affleck – ottimo come Bruce Wayne e sempre buono come Batman – sia addirittura riuscito ad aggiungere un paio di espressioni al suo non proprio ampio repertorio. Ma c’è un prezzo da pagare anche per questo. Infatti se c’è qualcosa che funziona poco all’interno della storia, anche questo in perfetto stile Marvel, è il villain Steppenwolf. Sotto la motion capture del generale alieno si cela un irriconoscibile Ciaràn Hinds (il Mance Rayder di Game of Thrones) che nulla può al cospetto di una caratterizzazioni alquanto misera del suo personaggio. Steppenwolf è il classico cattivo che è tale e sicuro di sé perché deve esserlo, nonostante quel poco del suo background mostrato ci faccia capire che non ha poi tutti questi motivi per credersi invincibile; ma ciò che a posteriori fa riflettere è il fatto che riesca appena a far paura ai nostri protagonisti, rimanendo pressoché invisibile al resto del mondo: una minaccia “globale” che passa in sordina, in confronto a quanto provocato da Doomsday in Batman v Superman. Justice League tra citazioni, sequenze action convincenti e battaglie in stile Signore degli Anelli che riscrivono la storia del mondo, non si fa mancare nulla, ed oltre ad i personaggi primari rinfresca la memoria agli spettatori mostrando Amazzoni, Atlantidei (tra i quali la bellissima Mera di Amber Heard), Alfred, Lois, Henry Allen dietro le sbarre, la “famigerata” Martha e Superm… Ops! Forse non dovevo svelare il segreto di Pulcinella del film. (Ebbene sì, come tutti sapevamo c’è anche Superman, e almeno per questa volta i trailer non hanno svelato/rovinato nulla di rilevante.) A questi si aggiunge anche un nuovo Commissario Gordon interpretato J.K. Simmons, e nonostante il minutaggio risicatissimo, le poche battute da lui pronunciate sono significative per conoscerne il rapporto ventennale col Cavaliere di Gotham: promosso sulla fiducia! Un panorama di personaggi piuttosto ampio che al contrario di quanto si possa pensare non si rivela un’accozzaglia messa su solo per fare numero. Dal punto di vista tecnico la pellicola risente nel montaggio di molte scene tagliate (molte delle quali presenti nel trailer ma non al cinema), ma nulla di incredibilmente vistoso o che addirittura provochi dei buchi di sceneggiatura come visto in BvS. Le musiche di Danny Elfman sono semplicemente bellissime e l’autocitazionismo del compositore in determinati frangenti farà venire la pelle d’oca ai fan di lunga data del primo vero Batman cinematografico. La CGI che tanto aveva generato perplessità, soprattutto quella inerente a Cyborg, si rivela decisamente migliore di quanto pronosticato, nonostante qualche piccola sbavatura. Paradossalmente il capitolo che il pubblico si sarebbe voluto gustare più a lungo termina dopo “soltanto” 120 minuti, ma ciò non influisce sul risultato finale né per quanto concerne lo sviluppo e la comprensione della trama, né per quanto riguarda il ritmo, grazie ad un buonissimo equilibrio tra azione e sequenze più dialogate. I cinque eroi (+1) inoltre riescono ad amalgamarsi col passare dei minuti, creando un collettivo tanto eterogeneo quanto spassoso. Questo quinto prodotto DC/Warner complessivamente non esalta oltremodo, ma nonostante i difetti non delude affatto. Justice League e la DC riescono finalmente a divertire e lo fanno in maniera matura. Non sarà questo film a sancire la consacrazione del DCEU, ma senz’altro, insieme a Wonder Woman, rappresenta un punto di partenza per espandere la saga. D’altronde di cose da vedere in futuro ce ne saranno eccome, e ciò che viene mostrato nelle due scene post-credits ne è solo un piccolo assaggio. (In basso, il trailer del film, anche in HD!) |
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Gennaio 2019
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